Gli sposi e Dio: da “Persona e atto” di Karol Wojtyła alla teologia del corpo di Giovanni Paolo II
Jarosław Merecki
Image: Lucas Cranach the Elder (1472–1553), Eden (1530), Wikimedia Commons, PD-old-100-expired
Nell’introduzione alla prima edizione di Persona e atto Karol Wojtyła afferma che il suo studio è di natura filosofica, ma allo stesso tempo nota che la problematica personalistica è di grande importanza per la teologia: “Non voglio qui varcare in alcun modo la soglia di questa problematica. Forse, dopo una preparazione più approfondita, ciò sarà possibile in futuro”[1].
Riporto queste parole dalla prima edizione di Persona e azione, perché nelle edizioni successive questa affermazione è scomparsa dall’introduzione all’opera di Wojtyła. Si potrebbe quindi pensare che l’autore abbia abbandonato l’intenzione di varcare la soglia della teologia nel campo delle questioni personalistiche, forse semplicemente a causa della carica di lavoro e della mancanza di tempo. Tuttavia, non era proprio così. Sebbene Wojtyła non abbia pubblicato un’opera separata dedicata al personalismo in teologia, mentre era ancora vescovo di Cracovia iniziò a lavorare a un testo, che pubblicò in seguito già da Papa, e che, come annunciato nella prima edizione di Persona e atto, infatti varca la soglia della teologia.
Un’introduzione a:
Guido Alan Haase Espíndola, Los esposos y Dios: metafísica y moral de la reciprocidad conyugal a partir de la teología del cuerpo de San Juan Pablo II y de santo Tomás de Aquino, Ciudad Autónoma de Buenos Aires, 2025.
Mi riferisco alla serie di catechesi tenute durante le udienze del mercoledì da Giovanni Paolo II tra il 1979 e il 1984, che sono note come “teologia del corpo”. Il lettore di queste catechesi, soprattutto della prima parte a cui Guido Alan Haase Espindola dedica il suo libro, noterà facilmente che in esse il Papa si avvale di quell’apparato concettuale sulla persona che ha sviluppato in Persona e atto, ampliando però la visione della persona con elementi che non erano presenti in quell’opera o che dovevano essere omessi a causa della sua natura filosofica.
Non è quindi esagerato dire che Wojtyła ha sentito il bisogno di ritornare sui temi trattati in Persona e atto e di integrare la visione della persona ivi presentata con filoni non sufficientemente sviluppati o addirittura del tutto omessi, anche se importanti per le questioni personalistiche. Qui vorrei indicare due di questi filoni, anche se senza dubbio ce ne sono altri – in ogni caso, Persona e atto non ha la pretesa di essere un trattato esaustivo di antropologia filosofica.
In primo luogo, c’è la problematica delle relazioni interpersonali, il problema dell’essere della persona insieme ad altre persone e della realizzazione della persona attraverso questo essere. Questa problematica è trattata nell’ultima, quarta parte di Persona e atto, dedicata alla teoria della partecipazione, mentre le prime tre parti trattano della persona vista, per così dire, in se stessa, la persona che esiste come essere separato e che si esprime e si realizza nel suo atto. Questa parte è la più breve delle quattro parti dell’opera e sembra che Wojtyła stesso abbia sentito il bisogno di completarla e svilupparla, cosa che fece qualche anno dopo la pubblicazione di Persona e atto in un ampio saggio intitolato “Persona: soggetto e comunità”.
Va ricordato che il concetto stesso di persona ha origine nella teologia cristiana e che in essa è stato concepito per concettualizzare –per quanto possibile– la relazione tra le persone divine. Come sappiamo, il concetto di persona non era conosciuto nella filosofia antica, e la parola prosopon, che è stata poi utilizzata nelle considerazioni trinitarie, era usata in altri contesti (grammatica, teatro). I teologi cristiani, invece, hanno utilizzato il concetto di persona per teorizzare due questioni. Il fatto che Gesù parli nei Vangeli di suo Padre e dello Spirito Santo ha rappresentato una sfida epocale per i primi teologi cristiani. Come rimanere fedeli al monoteismo dell’Antico Testamento pur rimanendo fedeli a ciò di cui parla il Nuovo Testamento? Oltre al problema della natura di Dio, c’era anche quello della natura (o meglio delle due nature) di Cristo, che fu risolto proprio con l’introduzione del concetto di persona. Si può quindi affermare che la problematica personalista è al centro della teologia perché riguarda chi è Dio nella sua essenza e chi è il Figlio di Dio incarnato Gesù Cristo.
Per così dire, è solo in un secondo momento che il concetto di persona viene riferito a un essere umano. Non c’è lo spazio per seguire questo processo o per descrivere la complessa storia del concetto di persona, ma nel nostro contesto vale la pena sottolineare un aspetto. Il concetto di persona è stato introdotto per chiarire una relazione. In un certo senso, si può dire che la persona è sia una sostanza – come giustamente sottolinea la tradizione metafisica – sia una relazione. Non è un caso che Robert Spaemann abbia dato al suo libro sul concetto di persona il titolo di Persone, e quindi un titolo plurale. Secondo lui, infatti, una persona pensata al singolare è impossibile. Nell’essere di una persona è inscritta, fin dall’inizio, una relazione con un’altra persona o con altre persone. Da un punto di vista teologico, ciò non sorprende, poiché le fonti rivelate parlano della creazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio, che è una comunità di persone. Sembra che questo aspetto della “relazionalità” della persona, che è inscritto nel suo essere – la persona non è una sostanza che entra in relazione, per così dire, in un secondo momento, ma è fin dall’inizio una sostanza in relazione – rimanga un po’ in ombra in Persona e atto, ma sia pienamente sviluppato nel ciclo di catechesi sopra citato Maschio e femmina li creò. Vale la pena di citare il significativo commento di Giovanni Paolo II sul racconto della creazione:
L’uomo diventa immagine di Dio non tanto nel momento della solitudine quanto nel momento della comunione. Egli, infatti, è fin ‘da principio’ non soltanto immagine in cui si rispecchia la solitudine di una Persona che regge il mondo, ma anche, ed essenzialmente, immagine di una imperscrutabile divina comunione delle Persone[2].
Nel suo libro Guido Alan Haase Espindola lo mostra bene a partire delle cosiddette esperienze originali dell’uomo: la solitudine orinale conduce all’unità originale dell’uomo e della donna.
In Persona e atto l’aspetto dell’essere con gli altri è analizzato piuttosto nella dimensione della filosofia sociale, che è certamente importante, ma non tocca ancora il cuore del problema dell’interpersonalità, della relazione “io – tu”.
Questo ci porta al secondo punto in cui Persona e atto aveva bisogno di un completamento. Si tratta del tema della “differenza sessuale”. Sebbene la terza parte di Persona e atto: “Integrazione della persona nell’atto”, sia dedicata all’“incarnazione” della persona, la questione della sessualità vi non viene separatamente analizzata. Intanto, la persona umana esiste nel corpo fin dall’inizio; inoltre, ciò che la metafisica chiama l’atto di esistenza si dà attraverso il corpo, e questo corpo non è semplicemente il corpo in quanto tale, ma il corpo di un uomo o di una donna. Dal punto di vista della teologia – ma anche della metafisica – possiamo dire che il corpo sessualmente definito è il primo dono che una persona riceve dal Creatore. Nella Bibbia, l’uomo è l’immagine di Dio come maschio e femmina. “Così Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò” (Genesi 1:27). Come abbiamo detto, queste stesse parole sono il punto di partenza della “teologia del corpo” di Giovanni Paolo II. Detto in parentesi, vale la pena di ricordare che Jacques Derrida, nel suo testo intitolato Geschlecht, ha fatto notare che nell’analisi del Dasein, cioè l’essere umano, presente in Essere e tempo di Martin Heidegger, il tema della differenza sessuale non compare affatto, come se non fosse abbastanza importante per comprendere l’esistenza umana. Lo stesso vale per la Persona e atto. D’altra parte, bisogna riconoscere che anche nella storia della teologia cristiana, fino a poco tempo fa, il tema della differenza sessuale non ha ricevuto molta attenzione. Invece, fin dall’inizio la Bibbia definisce l’identità umana come identità relazionale, cioè un’identità che si costituisce in relazione a un altro essere umano, e soprattutto in relazione a una persona del sesso opposto. “Non è bene che l’uomo sia solo; gli voglio dare un aiuto che gli sia simile” (Genesi 2:18). Per comprendere meglio l’originalità della narrazione biblica relativa all’emergere della differenza sessuale, vale la pena di confrontarla con un’altra narrazione sullo stesso tema, ovvero Il Simposio di Platone. Dal discorso di Aristofane apprendiamo che la natura originaria “siamese” dell’uomo fu divisa da Zeus come punizione. Mentre nel racconto di Platone primaria non è la differenza sessuale ma l’unità, nel racconto biblico l’uomo è fin dall’inizio l’immagine di Dio come essere sessuato (“maschio e femmina li creò”), e anche se nel secondo racconto della creazione dell’uomo l’uomo è prima solo, questa solitudine originale non è una manifestazione di perfezione ma di mancanza (“non è bene che l’uomo sia solo”). La differenza sessuale è quindi qui un dato antropologico primordiale. Nel contesto cristiano, le affermazioni della Genesi acquistano una dimensione ancora più profonda, poiché l’uomo è visto qui come immagine di Dio, che, come abbiamo detto sopra, non è solo, ma è una comunità di Persone divine.
La differenza sessuale è una sorta di punto zero, cioè quel dato primario che costituisce uno dei punti di partenza nella spiegazione della persona umana (non è difficile vedere che nel contesto delle discussioni contemporanee sulla sessualità umana questa affermazione non è affatto ovvia). Possiamo dire che la persona umana “si spiega” attraverso l’altro, perché solo con l’altro può entrare in una relazione d’amore, e la necessità di tale relazione è già scritta nel corpo definito sessualmente. Il tentativo di intendere la differenza sessuale come una costruzione culturale e la pluralizzazione delle identità di genere, invece, mirano a neutralizzare la differenza sessuale di base che è costitutiva per l’essere personale.
Certamente, Persona e atto come pure “la teologia del corpo” non devono essere considerate come opere chiuse, come una sorta di visione definitiva dell’uomo. Come abbiamo visto, Wojtyła stesso, nelle sue successive affermazioni filosofiche e teologiche, ha cercato di approfondire e sviluppare la sua visione. In Persona e atto e nella “teologia del corpo” Wojtyła ha proposto un certo modo di pensare la persona umana che nasce dall’incontro tra metafisica classica, fenomenologia e teologia. Il libro di Guido Alan Haase Espindola dimostra che questa proposta merita di essere continuata e sviluppata.
[1] K. Wojtyła, Osoba i czyn, Polskie Towarzystwo Teologiczne, Kraków 1969, p. 24.
[2] Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull’amore umano, Città Nuova Editrice, Libreria Editrice Vaticana 1992, p. 59.
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