José Granados – Alberto Frigerio (a cura di)
Storia e Verità. Quale cammino per la Chiesa?
Il volume costituisce un contributo all’indagine teologica promossa dal Sinodo sulla sinodalità, inerente a molteplici topiche: pensiero metafisico e storicismo dialettico, storicità e storicizzazione del dogma e delle norme morali, sinodalità e comunione ecclesiale, costellazione ecclesiologica e sacerdozio femminile, diaconato femminile, potestà d’ordine/di giurisdizione e nuove forme di ministerialità, celibato sacerdotale, sacerdozio ordinato/comune e laicato, differenza sessuale e ricadute ecclesiali, contributo della donna nella Chiesa.
I diversi contributi sono accomunati dall’idea secondo cui l’accesso storico e, dunque, ermeneutico alla verità non conduce ineluttabilmente allo storicismo, che diluisce la conoscenza nella pluralità delle interpretazioni. Il profilo storico della conoscenza, che colloca la comprensione all’interno dell’interpretazione, non preclude l’accesso alla verità, ne dischiude piuttosto un’assimilazione progressiva. Questo è tanto più vero nella prospettiva cristiana, secondo cui la verità si è manifestata ed è accessibile tramite la mediazione della Chiesa, preposta con l’ausilio dello Spirito a raccordare essere e tempo, verità rivelata e sua interpretazione lungo la storia.
Riportiamo in seguito l’introduzione del volume:
Introduzione
Storia e verità. La connessione tra i due termini, che danno titolo a questo libro, è essenziale per la fede cristiana, che confessa che la Parola eterna di Dio è entrata nel tempo per rivelare in esso il volto del Dio vivo e vero. Già nell’Antico Testamento Dio si rivela in forma narrativa, raccontando la sua storia di alleanza con Israele. Così, la conoscenza di Dio passa attraverso il ricordo grato delle sue opere e la speranza nella sua sorprendente salvezza. Il Nuovo Testamento annuncia la pienezza dei tempi: la vita di Gesù di Nazareth ricapitola tutta la storia e ci mostra, nel corso dei giorni di Gesù, la piena verità di Dio.
Jean Daniélou ha colto nel dogma calcedoniano il legame tra la verità eterna e il fluire del tempo1. Secondo Daniélou, Calcedonia permette una teologia della storia che non considera la storia come un puro divenire e non propone una verità di Dio al di fuori del corso della storia. Calcedonia confessa che in Gesù confluiscono, da un lato, la rivelazione del Dio eterno che viene a salvarci e, dall’altro, la linea ascendente della storia umana, fino al Messia. Così l’umano, nel suo dinamismo generativo di nascita in nascita, manifesta e rende presente il mistero di Dio, che include anche una generazione: la generazione eterna del Figlio da parte del Padre. La vita di Cristo, che poi si espande sacramentalmente nella Chiesa, contiene la formula del tempo necessaria affinché il tempo, dalla sua origine alla sua fine, possa raccontare il mistero totale di Dio. La dottrina cristiana non ha bisogno di adattarsi alla storia del mondo, non perché essa sia estranea a questa storia, ma perché contiene il modo fecondo di viverla.
Storia e verità. Se questo binomio è parte integrante del cristianesimo, oggi sembra che ambedue i termini entrino in contraddizione, in quanto sembra difficile conciliare ciò che ieri credevano i genitori con ciò che oggi credono i figli. Il tempo non ha forse modificato quella verità per la quale i nostri antenati erano pronti a dare la vita? Se il cristianesimo afferma che il tempo è il luogo in cui la verità viene rivelata, non è forse vero il contrario, ossia che il tempo sembra offuscare la continuità della verità, vale a dire, la sua fedeltà? Oppure bisogna accettare che la verità dipende dalla storia; che la verità mostra differenti volti secondo le differenti epoche?
Questa domanda è stata al centro delle recenti assemblee sinodali sulla sinodalità. Si può esprimere con una formulazione del cardinale Jean-Claude Hollerich: “la Chiesa deve cambiare, rischiamo di parlare a un uomo che non c’è più”. Se l’uomo è cambiato (se oggi vive in modo diverso il suo corpo, la sua sessualità, le sue relazioni sociali con l’ambiente e con le macchine), in che misura deve cambiare anche il messaggio predicato dalla Chiesa? Come si rapportano tra loro la verità e la storia nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo?
Le assemblee sinodali si sono concluse lasciando queste domande aperte. Allo stesso tempo, sono state istituite commissioni teologiche per portare avanti la riflessione di queste assemblee. Tra queste, una commissione si occupa di questioni dottrinali e di come esse possano essere rilevanti oggi.
Quali sono queste questioni? Vediamone alcune.
Ci si chiede, ad esempio, se la Chiesa non debba cambiare la sua organizzazione interna in modo da non basarsi principalmente sull’Eucaristia, che distingue gerarchicamente, ma sul battesimo, che rende tutti i fedeli uguali. In questo modo la Chiesa si avvicinerebbe a un segno del nostro tempo: la democrazia liberale.
Un’altra domanda riguarda la definizione di dogma: il campo di applicazione del dogma non è diventato troppo ampio negli ultimi tempi, soprattutto durante il pontificato di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI? Il dogma non dovrebbe essere limitato a ciò che è esplicitamente definito?
Si pone anche la questione del significato del corpo e della sessualità umana: non è forse necessario aprirsi a visioni meno rigide della corporeità, che ammettano l’aspetto fluido del sesso e la capacità di plasmarlo soggettivamente? Questo non lascerebbe forse più spazio a una valutazione in coscienza dei vari esercizi legittimi della sessualità?
A questo si aggiunge la necessità di considerare il contesto della teologia, che si declina a seconda delle regioni e dei gruppi sociali: questo contesto non permette forse un maggiore pluralismo, evitando visioni globalizzanti, in modo più attento alla concretezza di ogni situazione e di ogni momento storico?
Questo libro vuole essere un contributo alla riflessione teologica su queste e altre questioni. Raccoglie i punti di vista di filosofi e teologi che fanno luce sulle questioni discusse al sinodo. I diversi contributi sono accomunati dall’idea secondo cui l’accesso storico e perciò ermeneutico alla verità non conduce ineluttabilmente allo storicismo, che diluisce la conoscenza nella pluralità delle interpretazioni. Il profilo storico della conoscenza, che colloca la comprensione all’interno dell’interpretazione (ontologia fenomenologico-ermeneutica), non preclude l’accesso alla verità, ne dischiude piuttosto una comprensione progressiva. Questo è tanto più vero nella prospettiva cristiana, secondo cui la verità si è resa visibile (Gv 1,14) e accessibile tramite la mediazione della Chiesa, preposta con l’ausilio dello Spirito a raccordare essere e tempo, verità rivelata e sua interpretazione lungo la storia.
Se i contributi che seguono sono critici nei confronti delle soluzioni presentate in precedenza, il motivo non è la volontà di negare i cambiamenti difendendo l’immutabilità di un determinato impianto teologico antico. Al contrario, la critica alle soluzioni presentate sopra si basa sulla loro mancanza di radicalità nel cogliere sia la novità del momento sia l’originalità cristiana come risorsa per rispondere a queste novità.
Per tornare agli esempi citati, la proposta di democratizzazione della Chiesa non tiene conto della crisi che la democrazia liberale sta attraversando. Crisi che nasce dalla stanchezza per l’individualismo che sta alla base della proposta liberale. L’assunzione di questo modello superato non pare una buona idea per rinnovare la Chiesa. L’accettazione dell’istanza personale richiede piuttosto il riconoscimento del carattere relazionale della persona e dell’ordine di relazioni che la costituiscono. La valorizzazione dell’ordine comunionale-eucaristico della Chiesa ci prepara meglio, dunque, a offrire risposte creative a questa crisi sociale.
In quanto alla riduzione della dottrina vincolante a ciò che è esplicitamente insegnato come dogma, coloro che lo propongono non sembrano comprendere un’esigenza che oggi risulta evidente. Si tratta della necessità che la verità nasca in un contesto culturale che faccia da sfondo ad affermazioni e norme. Altrimenti si finisce in quello che Olivier Roy ha chiamato “l’impero delle norme”, logica conseguenza della “scomparsa della cultura”2.
Un’impostazione simile appare se guardiamo alla proposta di una morale sessuale fluida. Tale proposta giunge in un momento in cui, sia la pressante crisi della natalità, sia la crisi ecologica, ci invitano a riscoprire il valore generativo del corpo. Proprio il recupero della differenza feconda uomo-donna permette al corpo di aprire un futuro oltre sé stesso, rendendo possibile l’uomo nuovo.
Infine, per quanto riguarda la questione del contesto teologico, il problema delle proposte che assolutizzano il contesto regionale o temporale è che non sono abbastanza radicali nella loro valutazione contestuale. Infatti, il contesto regionale o temporale non è il contesto più profondo in cui si trova la persona. Il contesto ultimo in cui la persona è situata è il suo corpo, e Cristo ha assunto questo contesto e lo ha trasformato eucaristicamente, donandolo alla Chiesa come il suo contesto più originario. Il contesto eucaristico appare dunque come la chiave di lettura di tutti i contesti locali successivi. Da questo contesto è possibile superare l’opposizione, centrale nella politica del nostro tempo, tra una visione identitaria e una visione globalista della politica.
L’elenco potrebbe continuare, considerando il ruolo delle donne nella Chiesa, lo sviluppo dell’insegnamento cristiano, la missione del sacerdote, la partecipazione dei laici al governo del Popolo di Dio… Questo libro esamina le suddette questioni. Sono presentati come un’apertura al dialogo, che riconosce la necessità di un rinnovamento teologico, possibile solo se percepito in tutta la sua radicalità, che si tratti della sfida moderna o della forza rinnovatrice contenuta nella confessione di fede in Cristo, Signore della storia.
Francesco Botturi, già Professore ordinario di Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano, profila lo sfondo filosofico-culturale in cui collocare il Sinodo sulla sinodalità. Secondo Christoph Theobald, testimone e promotore del dibattito sinodale, l’istanza di rinnovamento ecclesiale muoverebbe dalla necessità di adattare l’annuncio del Vangelo a ciò che la Chiesa percepisce dall’opera dello Spirito nei destinatari dell’annuncio. Questo è però problematico, non perché l’interlocutore non vada ascoltato e interpretato per ciò che lo Spirito suscita di vero, quanto per la mancata avvertenza critica circa il tipo di precomprensione di cui l’interlocutore è portatore, che l’Autore presenta illustrando il pensiero di G. Vattimo. Per ovviare alla riduzione dell’Essere a ni-ente (ontologia nichilista), resa palese dalla reificazione del mondo operata dalla tecnologizzazione globale, questi sostituisce il paradigma metafisico della verità in sé con l’ermeneutica, che pensa la verità come ciò che la concreta comunità storica ritiene ragionevole. La crisi della metafisica avrebbe poi l’effetto positivo di liberare il cristianesimo dalla contaminazione del pensiero greco (ellenizzazione del cristianesimo), accusato di aver formulato pretese veritative autoritarie e violente, e di promuovere il ritorno all’autenticità originale, racchiusa nella kenosi e carità. Ora, come segnala l’Autore, il pensiero di Vattimo ha esito inesorabilmente nichilista, in quanto irretisce la verità entro l’orizzonte interpretativo. Inoltre, la confutazione dell’essenzialismo metafisico non ha sbocco obbligato nell’ermeneutica nichilista. Lo documenta il pensiero tomista, che predica l’essere come atto originario (realismo ontologico), evento che apre l’intelligenza all’irriducibile evidenza della propria esistenza e intelligibilità. È quanto segnala H.U. von Balthasar, secondo cui il cristiano ha il compito di custodire la meraviglia metafisica con cui comincia la filosofia. L’apertura al mistero dell’Essere costituisce infatti lo spazio per la libera ed eccedente rivelazione divina. Contrariamente, l’estenuazione dell’Essere ha quale effetto esiziale la chiusura autoreferenziale della libertà, che sul piano pastorale comporta lo slittamento dall’annuncio della verità vivente alla promozione di esortazioni e condotte di vita consone al pensiero debole oggigiorno vigente.
Tracey Rowland, Docente ordinario di Teologia presso l’Università di Notre Dame di Sydney, Australia, illustra la correlazione tra storia e dogma promossa da J.H. Newman, a cui J. Ratzinger attribuisce il merito di aver posto le basi per costruire il pensiero storico nella teologia, cogliendo l’identità della fede nei suoi sviluppi. Pensare storicamente in teologia, punto nevralgico della modernità, significa attestare la storicità del dogma ovviando al duplice rischio di intellettualismo e storicismo. Newman elabora una visione dello sviluppo dogmatico che poggia su quattro pilastri: rivelazione, evento storico che contiene un deposito della fede; tradizione, realtà viva e organica che consente di aumentare la comprensione del deposito della fede, certo sotto lo stimolo della storia, che non vi aggiunge verità ma funge da levatrice per approfondire la cognizione; magistero, ufficio circoscritto dal deposito della fede che è preposto a custodire; coscienza, che manifesta nella profondità il deposito della fede. Sostando sul terzo elemento, Newman asserisce che il magistero composto dal papa e dal collegio episcopale (Ecclesia docens) è riunito in una sola duplice testimonianza con l’attitudine dei credenti a discernere la verità della fede (sensus fidei fidelium). L’Autrice richiama poi il recente documento della Commissione Teologica Internazionale preposto a indicare i criteri per discernere l’autentico sensus fidei fidelium, tra cui si annovera l’aderenza al magistero. I criteri sono riuniti sotto il principio secondo cui è necessario un giusto ordine del cuore e dell’intelletto, nonché un certo livello di santità e santificazione. Da ultimo, l’Autrice invita a collocare Ratzinger con Newman. Diversamente da M. Seewald, che considera Ratzinger portavoce dell’ideale di sviluppo dottrinale dinamico, secondo cui la rivelazione avverrebbe sempre di nuovo, l’Autrice segnala che Ratzinger non offre un resoconto libero tra storia e dogma ma rileva la necessità di proteggere il deposito originale. La dinamicità aperta allo sviluppo nella comprensione del dogma ha per agente la communio Ecclesiae, mediatrice tra essere e tempo.
Marco Panero, Docente di Filosofia morale presso l’Università Pontificia Salesiana, Roma, indaga il nesso tra comprensione necessariamente storica del bene/male e corrispettiva prescrizione normativa, al fine di stabilire se le norme morali sono variabili di un certo contesto storico, come sostiene la visione storicista, o sono portatrici di una verità sull’uomo immutabile, per quanto storicamente attinta. La fondazione delle norme morali è ricondotta nel primo caso all’autorità che l’ha istituita (volontarismo), allo stato di cose che realizza (utilitarismo) o alla stratificazione di esperienze individuali storicamente situate (approccio genetico-contestuale), nel secondo caso alla ragione umana (realismo e cognitivismo) o alla natura umana nella sua unità spirito-corporea (tradizione cattolica della legge naturale). Secondo quest’ultimo approccio l’autorità non produce la norma morale ma la riconosce e ne dichiara il nesso con la verità sul bene. Norma che ha dunque il compito di additare il bene da compiere e interdire il male da evitare. Ora, la codificazione normativa operata dal legislatore ha indubbio carattere storico, che non va equivocato però con la supposta storicizzazione delle norme morali, che si limiterebbero a enunciare una prassi socialmente riconosciuta in un dato contesto storico, escludendo ogni pretesa di universalità. Per ovviare all’insidia storicista, l’Autore segnala i seguenti elementi: l’autentico sviluppo normativo esige coerenza diacronica e compatibilità formale con gli enunciati precedenti, analogamente allo sviluppo dottrinale; il progressivo riconoscimento di un bene, che può richiedere tempi lunghi, va distinto dalla costante dichiarazione di un male; il grado di pronunciamento magisteriale implicato nelle varie affermazioni fa sì che una verità riconosciuta come divinamente rivelata è definitiva, non per motivi puramente canonistici bensì per la funzione vicaria che il munus magisteriale svolge rispetto al Legislatore, consentendo di riconoscere ciò che è bene per sua natura; il bene ontologico, che permane in dosaggio variabile anche in atti gravemente contrari alla legge divina, in quanto conservano taluni sprazzi di bene, non va confuso con il bene moralmente possibile, che in senso pratico costituisce il solo bene, in quanto il fatto che si possano dare perversioni più gravi non rende moralmente buona un’azione strutturalmente disordinata. I criteri esposti sono condizione di una reale concrescita delle norme morali, che avviene incalzata dalle istanze storiche.
José Granados, Teologo dogmatico e cofondatore del Veritas Amoris Project, esplora il ruolo fondamentale dell’Eucaristia come contesto radicale per la teologia cristiana, ponendo l’accento sul suo valore corporeo-relazionale e sacramentale. Partendo dal mistero dell’Incarnazione, si evidenzia come la carne e il corpo di Cristo siano essenziali per comprendere la rivelazione divina e, quindi, per svolgere il compito teologico. Il luogo eucaristico, a sua volta, assume in sé il luogo creaturale del corpo, che si fonda sull’unità della carne dell’uomo e della donna secondo il piano divino sul matrimonio. In questo modo, la dottrina cristiana è radicata in un contesto affettivo e relazionale che modella desideri, affetti e relazioni umane. Questo contesto eucaristico, che si espande nel resto dei sacramenti, è il punto di partenza per la teologia e serve come criterio per valutare ogni contesto secondario, locale o sociologico. Granados invita a una teologia radicata nell’Eucaristia, unica capace di superare le polarizzazioni ideologiche. Il contributo si conclude con una riflessione sul sensus fidei alla luce del contesto eucaristico fondamentale della teologia. Il senso della fede richiede, come è normale nell’esercizio degli altri sensi, il radicamento in un ambiente adeguato, che è l’ambiente del corpo creaturale-eucaristico. Chi vive fuori da questo ambiente vede atrofizzarsi il proprio senso della fede.
Nicholas J. Healy, Docente di Filosofia e cultura presso il Pontifical John Paul II Institute, Washington D.C., indaga la natura e fonte dell’autorità episcopale alla luce dell’ecclesiologia di comunione promossa dal Concilio Vaticano II, che pone enfasi non sulla dimensione giuridico-istituzionale della Chiesa bensì sulla sua origine nell’amore trinitario, rivelato da Cristo e attuato nell’Eucaristia. La visione della Chiesa comunione fornisce il contesto dell’insegnamento conciliare sull’ufficio pastorale del vescovo, che consta di due elementi. La collegialità, secondo cui ogni vescovo insieme al pontefice è corresponsabile per la Chiesa universale. Il potere di giurisdizione, che ha origine sacramentale, sebbene l’autorità sia esercitata lecitamente solo in comunione col pontefice. Il Concilio rivolge attenzione altresì ai laici, rinvenendo il loro singolare carattere secolare, tramite cui contribuiscono alla santificazione del mondo. In sintesi, per il Vaticano II la comunione è dono e compito di tutti i membri della Chiesa. Motivo per cui l’ecclesiologia di comunione si accorda bene con l’idea di sinodalità, intesa come responsabilità condivisa per la vita e la missione ecclesiale. Non rimarcando a senso unico il tema del potere, che segnerebbe un ritorno alla visione gerarchica, né clericalizzando i laici, che sarebbero privati dei loro compiti specifici, ma favorendo un esercizio paterno dell’autorità episcopale, capace di ascolto, attenzione e parresia, e promuovendo l’azione del laicato nel mondo.
Margaret Harper McCarthy, Docente di Antropologia teologica presso il Pontifical John Paul II Institute, Washington D.C., esamina la questione della “manifestazione del genio femminile” (San Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem) alla luce dei più recenti appelli a “farlo emergere” in “tutte le espressioni della vita sociale”, sul posto di lavoro e “nei vari altri ambienti in cui si prendono decisioni importanti, sia nella Chiesa che nelle strutture sociali” (Papa Francesco, Evangelii gaudium). Senza entrare nei dettagli tecnici relativi alle donne che assumono posizioni di autorità negli uffici ecclesiastici o che intendono ricevere gli ordini sacri come diacone, il testo mette in guardia dall’identificare la partecipazione nella Chiesa e nella società con il possesso di un ruolo o di una posizione ecclesiastica ufficiale, poiché questo ingenera il rischio di assumere il quadro di subordinazione che la teologia del laicato del Concilio Vaticano II ha superato. Il testo propone invece che la questione del ruolo della donna (e dei laici, più in generale) nella società e nella Chiesa, sia pensata all’interno del quadro che il Concilio ha assunto, quello della Rivelazione, affinché il genio femminile (nella società) e la dimensione mariana (nella Chiesa) possano rimanere come una delle due dimensioni, uguali nella loro differenza, garantendo così la “fecondità spirituale e fisica della natura umana” (Hans Urs von Balthasar). Il presente testo sostiene, quindi, un contributo della donna in quanto tale, cioè dal punto di vista del suo “genio” e del luogo della sua missione primaria: la casa e il mondo.
Roberto Carelli, Professore di Teologia sistematica e Antropologia teologica presso la Pontificia Università Salesiana, Sede Torino, indaga l’annosa questione del sacerdozio femminile. Dapprima invita ad assumere uno sguardo empatico verso il magistero, evitando un’ermeneutica del sospetto che lo colloca sotto il segno del maschilismo androcentrico e patriarcale. L’auspicabile inclusione delle donne negli ambiti istituzionali e decisionali della Chiesa non deve appiattire la vita ecclesiale sul registro funzionale a detrimento di quello simbolico. Come segnala J. Ratzinger, per il pensiero sacramentale è nota la trasparenza simbolica della corporeità, che oggigiorno rischia di venire soppiantata dall’equivalenza funzionale dei sessi, come se i tratti distintivi dei sessi fosse funzionale a logiche patriarcali. Invero, la pari dignità dell’uomo e della donna è promossa dalla comprensione della loro distinzione e dei loro tratti qualificanti. Trasposto sul piano teologico, l’argomento della maschilità di Gesù e della femminilità di Maria promuove il rispettivo servizio alla rappresentanza e all’accoglienza di Dio, favorisce altresì la comprensione tipologica della Chiesa, in cui ciascuna figura risulta determinante nella costituzione e funzionamento della costellazione cristologica. Come certifica un’accurata fenomenologia interdisciplinare, la sessualità sprigiona significati radicali, che H.U. von Balthasar compendia nel correlare l’uomo e la donna all’evidenza simbolica della dimensione attiva e ricettiva dell’amore, che in ambito ecclesiale si traduce nell’assegnazione del ministero ordinato agli uomini e della mediazione materna alle donne, nella prospettiva della piena comunione resa possibile dalla distinzione.
Thomas Michelet, Professore stabile presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino di Roma, esamina la questione delle diaconesse che differisce essenzialmente da quella del diaconato femminile. Da un lato, le diaconesse non facevano parte degli ordini maggiori, ma di fatto corrispondono ai ministeri istituiti, recentemente aperti alle donne, che sono ministeri laici esercitati nel quadro del sacerdozio battesimale. Il loro ripristino sarebbe possibile ma non necessariamente opportuno. D’altra parte, il diaconato come ministero ordinato appartiene al sacerdozio gerarchico, la cui ragione comune è quella di essere segno di Cristo, Capo della Chiesa. Per questo motivo, l’impossibilità per le donne di accedere al presbiterato e all’episcopato deve valere anche per il diaconato.
Alberto Frigerio, Professore di Etica della vita presso l’ISSR di Milano, indaga il tema della differenza sessuale in dialogo col pensiero di orientamento femminista. Prima segnala due pericoli a cui è sottoposta la differenza sessuale: essenzialismo, che riconduce il maschile e femminile in un ordine pre-costituito, sovente ponendo in subalternità la donna rispetto all’uomo; culturalismo, che neutralizza il maschile e femminile, neutralizzando la differenza. Poi promuove una ricomprensione della differenza sessuale, ricorrendo all’indagine fenomenologica e biblico-teologica. La prima insegna che l’essere sessuati come maschi o femmine dischiude in un continuum di ordine biologico, psicologico e spirituale due modi d’essere e d’esistere connotati da flessioni specifiche, che si accrescono nella relazione. Traspare così il senso e altresì l’urgenza di promuovere l’etica della differenza, che è tale in quanto intenta a fuoriuscire dall’unilateralità narcisistica del proprio inclinare imposto come universale senza o contro l’altro e assumere un atteggiamento di riconoscimento grato con e per l’altro. La seconda attesta il fondamento teologale dell’identità nella differenza sessuale, che si rinviene a livello trinitario, e illumina le estensioni ecclesiali dell’uni-dualità sessuale, di cui dà conto la costellazione ecclesiale ideata da H.U. von Balthasar. In particolare, risultano assai pregnanti i principi petrino e mariano, correlati alla lettura della virilità come servizio al carattere istitutivo di Cristo-Parola e della femminilità come servizio al carattere restitutivo della Chiesa-Risposta. Da ultimo, l’Autore riflette sull’articolazione della pluriforme realtà ecclesiale e sulla promozione della figura femminile, accostando il ministero sacerdotale ordinato e il ministero diaconale ordinato nell’ottica simbolica sacramentale, a cui pure va accostata l’istanza funzionale, che sprona a rinvenire nuove forme ministeriali.
Mario Imperatori, Professore di Teologia dogmatica presso la Pontificia Facoltà Teologica, sezione San Luigi, a Napoli, indaga lo specifico senso teologico della distinzione sessuale umana e del suo esercizio. Anzitutto segnala il carattere polare del maschile e femminile, che sono relativamente compenetranti e costituiscono l’espressione analogica della distinzione personale intratrinitaria. Certo, la feconda distinzione trinitaria svolge a sua volta un ruolo catalogico rispetto alla feconda polarità sessuata delle persone umane, che non può venire appropriata a nessuna delle persone divine in modo esclusivo. L’Autore segnala poi che il femminile è salvato da Cristo non appropriandosene come per il maschile ma associandolo sponsalmente. Motivo per cui i battezzati sono chiamati ad assumere la maschilità kenotica del Figlio Sposo mentre le battezzate sono poste in una relazione immediatamente sponsale che domanda di configurarsi alla nuova Eva. L’Autore rileva poi che sul piano storico-salvifico la ragione teologica della feconda distinzione sessuale sta nel Mistero grande della relazione Cristo/Chiesa. Motivo per cui il sacramento del matrimonio è precluso alle coppie omosessuali, in cui il linguaggio del corpo risulta difforme dalla logica sacramentale sottesa all’incontro uomo/donna.
Stefan Heid, Rettore del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, Roma, illustra il celibato, fenomeno storico assai complesso, con rilievi disciplinari, spirituali, sociologici e psicologici. Come certifica la disciplina clericale istituita da Papa Siricio alla fine del quarto secolo, tutti i chierici di grado superiore (vescovi, sacerdoti, diaconi) erano tenuti alla continenza, di cui esistevano tre tipi: i non sposati che divenivano e restavano celibi; i vedovi, che non potevano risposarsi; gli sposati, che vivevano in una continenza permanente, intesa come un matrimonio bianco o una separazione. Siricio considerava la continenza apostolica e vincolante, come documenta il Nuovo Testamento, in specie le Lettere pastorali ma altresì nel riferimento gesuano agli eunuchi, che riguarda sé e i propri discepoli. Motivo per cui si hanno numerosi testi di sinodi e padri della Chiesa risalenti ai primi quattro secoli che attestano la disciplina clericale della continenza. L’Autore segnala poi i quattro pilastri della continenza di Gesù e degli apostoli: la correlazione tra continenza e attesa del Messia, idea del martirio, speranza della risurrezione, istituzione dell’Eucaristia.
Ecco, dunque, una breve presentazione dei contributi contenuti in questo volume. La rapida panoramica della sua ricchezza offre motivi per sperare che questo libro apra vie di riflessione fruttuose in un tempo e in una Chiesa che hanno bisogno di luce.
Roma, 2 febbraio 2025
Festa della Presentazione del Signore
1 Cf. J. Daniélou, “Christologie et eschatologie”, in A. Grillmeier – H. Bacht (eds.), Das Konzil von Chalkedon. Geschichte und Gegenwart. Bd. III: Chalkedon heute, Echter, Würzburg 1953, 269-286.
2 Cfr. O. Roy, L’Aplatissement du monde. La crise de la culture et l’empire des normes, Seuil, Paris 2022.
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