La famiglia post-COVID-19: rapporti familiari nell’era del non-contatto

Livio Melina

Lezione tenuta online il 13 marzo 2021 per l’Istituto di Bioetica dell’ Università Cattolica di Seoul, Corea del Sud – Campus di Songeui nel contesto della conferenza: “Riflessioni e proposte sulla condivisione umana”

«Già prima che scoppiasse la pandemia mi ero reso conto che ci trovavamo in un momento rivoluzionario: ciò che sarebbe stato impossibile o addirittura inconcepibile in tempi normali non solo era divenuto possibile, ma forse anche assolutamente necessario»: con queste parole piene di entusiasmo, George Soros, il noto finanziere di origine ungherese, saluta la pandemia che sta flagellando il mondo da ormai più di un anno; e la saluta come un’opportunità unica da non perdere[1]. Nello stesso senso si muove l’iniziativa del World Economic Forum, quello dei famosi incontri globali di Davos in Svizzera, che a gennaio 2021 ha programmato “I dialoghi del grande reset” (“The Great Reset Dialogues”). Il suo fondatore, Klaus Schwab così si esprime: «La pandemia rappresenta una rara ma ristretta finestra di opportunità per riflettere, reimmaginare e resettare il nostro mondo»[2].

I rappresentanti del potere finanziario, economico, politico e mediatico mondiale sono dunque convinti che la pandemia offra un’occasione unica per metter mano ad un cambiamento rivoluzionario del sistema economico e sociale del capitalismo, che avrebbe dimostrato il suo fallimento e che sarebbe assolutamente necessario ristrutturare radicalmente, per affrontare la sfida senza precedenti dei cambiamenti climatici del nostro pianeta. Economia verde e decarbonizzazione, sviluppo sostenibile, lotta alle disuguaglianze, controllo delle risorse primarie, governo dei movimenti migratori, digitalizzazione ed intelligenza artificiale sono i capitoli messi all’ordine del giorno del progetto di “Gran Reset”.

E la famiglia, come c’entra? Essa certamente non è rimasta estranea all’impatto della pandemia e ai progetti di ingegneria sociale messi in atto nel contesto del Gran Reset socio-economico. È infatti il luogo di rapporti più intimi e significativi per le persone umane, per la loro nascita, crescita e sviluppo. In essa si vivono le relazioni fondamentali legate all’affettività sessuale e alla generazione: sponsalità, paternità e maternità, filiazione, fraternità. Sono tutte relazioni basate sul corpo. Ora il Covid-19 è patologia che colpisce mediante le relazioni e mediante il corpo, e le strategie per cercare di prevenire i contagi si basano sul distanziamento sociale. Tutto ciò ha avuto conseguenze formidabili prima di tutto sulla famiglia, innestando mutamenti potenzialmente epocali. Come ha reagito la famiglia a questi cambiamenti obbligati, che hanno portato al confinamento, alla digitalizzazione del lavoro e della scuola, all’isolamento delle persone?

Bisogna tuttavia rilevare preliminarmente che la famiglia, da sempre inserita nel mutamento sociale e culturale, ha vissuto negli ultimi sessant’anni soprattutto nei paesi più sviluppati, in varie forme e in varia misura, un processo di trasformazione profondo e accelerato, su cui si è innestato questo nuovo evento drammatico e sconvolgente. Quali possibilità di resilienza trasformativa si offrono alla famiglia nella prospettiva di ciò che avverrà dopo la pandemia?

Da queste prime notazioni emergono i tre punti fondamentali su cui si articolerà la mia relazione: 1) in primo luogo cercherò di delineare i fenomeni di trasformazione della famiglia che erano già in atto prima della pandemia; 2) in secondo luogo mi occuperò dell’impatto che la pandemia ha avuto sulle famiglie, dello stress che ha comportato e che sta comportando nella vita familiare; 3) in terzo luogo vorrei suggerire le possibilità aperte dalla circostanza del Covid 19 per il futuro della famiglia e per il suo ruolo nella società post-pandemica.

1. Le trasformazioni della famiglia: verso una società post-familiare?

Ben prima del 2020, la famiglia è stata investita da drammatici cambiamenti, che hanno avuto il loro emblematico culmine nella cosiddetta “rivoluzione sessuale” del 1968, che l’ha colpita e stravolta nella sua struttura antropologica fondamentale, che sembrava immutabile.

Il celebre antropologo francese Claude Lévi-Strauss si era domandato: «se l’universalità della famiglia non è un effetto di una legge naturale, come si spiega allora che la si trovi quasi dappertutto?»[3]. Pur nella pluralità delle sue manifestazioni concrete e nella pluriformità dei modelli storici e culturali, essa si presentava per lui come una sorta di “società naturale” fondata su un duplice legame, quello per così dire “orizzontale” dato dalla relazione sessuale tra uomo e donna e quello “verticale” dato dalla relazione generazionale tra genitori e figli. Nello stesso senso, il sociologo bolognese Pierpaolo Donati parla della famiglia come di una forma di relazione primordiale, caratterizzata da una specie di “genoma”, cioè di una struttura latente, che in maniera analoga alla biologia degli organismi viventi, può esprimersi in maniera diversificata, ma che per questo non cessa di essere il nucleo permanente di questa realtà[4].

Come si diceva, tale struttura è stata fortemente scossa dalla “rivoluzione sessuale”. La lotta contro la repressione venne identificata con la battaglia per l’autenticità dell’individuo, intesa come pura affermazione di vitalità. La denigrazione sistematica e la ridicolizzazione del “comune senso del pudore” è stata funzionale alla distruzione dei limiti normativi convenzionali. Ciò ha implicato una mutazione del concetto stesso di felicità, come mèta del proprio agire: nucleo della felicità della vita doveva essere la “felicità sessuale” (W. Reich[5]), poiché solo mediante l’assoluta, illimitata libertà sessuale l’essere umano avrebbe potuto emanciparsi dalle sue nevrosi.

Cominciata con la separazione della sessualità dalla procreazione, e quindi con l’introduzione della contraccezione (sex without babies) e della procreazione artificiale (babies without sex), tale rivoluzione è proseguita con la separazione del sesso dal contesto del matrimonio e dell’amore, ed è finalmente sfociata nella pratica di una sessualità “duttile”, eccentrica, libera anche dal riferimento alla differenza maschile/femminile. Il sesso si è sempre più ripiegato nella ricerca del piacere individuale, legittimato in tutte le sue espressioni nell’ideologia del gender, con la negazione di ogni significato nel linguaggio del corpo.

Naturalmente l’istituto sociale repressivo per eccellenza venne identificato con la famiglia monogamica della tradizione, che diventò anche il nemico principale dell’autenticità, e che quindi andava dissolta. E poteva esserlo non solo mediante una battaglia diretta contro le sue strutture portanti (indissolubilità del legame matrimoniale, autorità paterna, procreazione come fine della sessualità), ma anche attraverso la promozione di una pluralità di modelli “liquidi”, ciò che in pratica equivaleva ad una “liquidazione” della famiglia come tale. La battaglia contro la famiglia è diventata battaglia per allargare il concetto di famiglia, fino ad includervi qualsiasi modalità di convivenza a sfondo sessuale.

Giocare con la sessualità ha però sempre ripercussioni sociali importanti e imprevedibili non solo per gli individui coinvolti, ma anche per la società nel suo insieme. Vorrei qui riferirmi alle analisi sulla famiglia in Italia, che riporta il Rapporto CISF 2020, appena pubblicato. Credo che, in forza della globalizzazione, tale panorama possa essere utile anche per rilevare i tratti similari di altre situazioni nell’ambito delle società tecnologicamente avanzate dell’occidente e dell’oriente.

Pierpaolo Donati afferma che stiamo ormai entrando in una società “post-familiare”, in cui la famiglia perde progressivamente le sue funzioni sociali[6]. Egli parla di “family warming”, cioè di un crescente surriscaldamento della famiglia che provoca una sua evaporazione: vengono meno i legami forti e sanciti istituzionalmente e prevalgono le emozioni, così che le relazioni diventano precarie e incapaci di resistere alle sfide della vita. Le relazioni familiari diventano sempre più complesse e frammentate e nello stesso tempo più svincolate da assetti formali e da responsabilità. L’intreccio tra relazione sponsale e genitorialità si dissolve: si può essere coppia senza impegni matrimoniali e persino senza convivere; si può essere genitori senza aver generato figli con rapporti naturali, ma mediante il ricorso a tecniche riproduttive, fino alla maternità surrogata. Ciò è reso possibile dall’ambiente culturale odierno che associa una mentalità libertaria alle innovazioni tecnologiche, da quelle biomedicali a quelle informatiche e comunicative.

Le famiglie diventano “monadi individuali”, che si compongono e si scompongono occasionalmente incrociandosi con altri individui. Il prof. Francesco Belletti, Direttore del Centro Studi Famiglia, precisa che in Italia «il 60% delle famiglie è con una o due componenti»[7]. Famiglie che sono dunque sempre più piccole, coinvolte in un «processo di dimagrimento drammatico», mentre, in base alla curva demografica, crollerà tra vent’anni il numero di coppie con figli, con l’aumento di giovani non intenzionati a sposarsi. «La resistenza della famiglia sembra arrivata ad un punto critico e l’elastico è teso al massimo, mentre il rischio di rottura pare elevato. La famiglia c’è ancora, ma fino a quando?», conclude il sociologo milanese.

2. L’impatto della pandemia sulla famiglia

Qual è stato l’impatto della pandemia Covid 19 e delle misure di confinamento e distanziamento sociale sulle famiglie, che erano già all’interno di questi processi rivoluzionari di trasformazione?

Va osservato preliminarmente che la crisi presente ha mostrato l’illusione del progetto transumanista (Singularity University della California), secondo cui la cosiddetta quarta rivoluzione industriale, innestata dall’introduzione massiccia delle innovazioni digitali, avrebbe assicurato una crescita lineare senza limiti. Contro le previsioni ottimistiche siamo entrati in una fase in cui le patologie da virus si sono aggiunte allo scenario delle malattie connesse allo sviluppo e all’iperalimentazione, dando luogo al cosiddetto “triple burden of disease[8]. Ciò richiede, secondo l’economista Stefano Zamagni, maggior umiltà e prudenza: si sono costruite megalopoli disumane, con distruzione degli habitat animali naturali e aumento delle disuguaglianze sociali, e proprio questo è il contesto che ha favorito la pandemia[9].

E tuttavia, nonostante tutto, la famiglia è stata la roccia su cui sono rimaste salde le vite delle persone. Benché sia avversata, abbandonata o lacerata, la famiglia è ancora punto di riferimento e «conferma di essere ancora un soggetto economico e sociale cruciale per l’intera società, facendoci toccare con mano che le relazioni – in famiglia come altrove – contano più del denaro»[10].

La famiglia comunque ha vissuto e sta vivendo uno stress formidabile. Una ricerca condotta in Italia da un gruppo di ricercatori psico-sociali del Centro di Ateneo dell’Università Cattolica di Milano, diretto dal prof. Camillo Regalia, insieme alla società Human Highway ha documentato la fortissima tensione cui le relazioni familiari sono state sottoposte, soprattutto in famiglie con figli piccoli o adolescenti[11]. Si è verificato per la famiglia un sovraccarico di responsabilità, soprattutto per lo scarso sostegno delle istituzioni. Non sempre le famiglie sono riuscite a gestire lo stress e a mitigare l’ansia, provocata dalle preoccupazioni per la salute e per il futuro, alimentata dall’insofferenza del sentirsi “in gabbia” a motivo delle limitazioni dei contatti sociali.

Due fenomeni tipici del periodo di confinamento (lockdown) hanno inciso sulla vita familiare: lo smart working (“lavoro da casa”) e il distance schooling (DAD: “didattica a distanza”)[12]. La sovrapposizione del tempo lavorativo e scolastico rispetto a quello familiare ha costretto le persone ad una difficile negoziazione degli spazi domestici e degli strumenti informatici, dando origine non sempre ad una condivisione conviviale, ma spesso anche a situazioni conflittuali. I genitori hanno subito una alfabetizzazione digitale forzata e un aggiornamento tecnologico non sempre riuscito.

Naturalmente le disuguaglianze economiche, sociali e culturali, dovute al reddito, alla composizione del nucleo familiare, al livello di formazione, alla posizione geografica, hanno inciso fortemente differenziando le conseguenze della crisi. Un rapporto di Aloysius John, Segretario Generale di Caritas Internationalis, pubblicato nel giugno 2020, mostra come le famiglie a basso reddito dell’occidente, così come quelle più povere dei Paesi più svantaggiati siano state quelle più vulnerabili e più colpite, cosicché «l’impatto del coronavirus ha aumentato la disuguaglianza e la disuguaglianza ha peggiorato la diffusione della pandemia»[13].

Un effetto da considerare attentamente per la sua potenzialità socialmente dirompente è quello dello scontro generazionale innestato dalla crisi del coronavirus. Si è verificata quella che Giuseppe De Rita ha crudamente ma efficacemente definito la “decimazione di un’intera generazione” di anziani: estromessi dalle loro case e confinati in residenze spesso poco confortevoli e impersonali, i vecchi sono stati le vittime predilette del virus[14]. Ciò ha messo drammaticamente in luce la condizione di solitudine e spesso di abbandono in cui vivono gli anziani delle nostre società sviluppate. Essi si sono dimostrati i più fragili e vulnerabili, mentre i giovani spesso non hanno sopportato e rispettato il distanziamento sociale, ritenendosi, a torto o a ragione in qualche modo “invulnerabili”.

Le generazioni più giovani, così come da anni hanno voltato la faccia dall’altra parte di fronte ai problemi della vita nascente, chiudendosi in un egoismo di coppia e negando con l’aborto ai non ancora nati la stessa dignità che viene riconosciuta alla vita già nata, così ora la stanno voltando anche di fronte ai problemi della terza e della quarta età. Con questo si vede che la questione del conflitto generazionale, emersa nella crisi pandemica, ha una portata non solo demografica, ma anche di giustizia sociale.

Per sintetizzare questa rapida panoramica dell’impatto della crisi sulla famiglia, possiamo sinteticamente evidenziare tre elementi. In primo luogo la pandemia ha mostrato l’importanza delle relazioni sociali dentro e fuori la famiglia, soprattutto nei confini tra il dentro e il fuori: significativa è stata la necessità di definire, anche giuridicamente chi fossero i congiunti e che cosa fossero gli “affetti stabili”. In effetti senza relazioni, mediate dal corpo, il virus non esiste. Per ragioni sanitarie si dovrebbero evitare quindi tali relazioni, ma come si fa a vivere senza relazioni? In secondo luogo è entrata in campo massicciamente la tecnologia delle comunicazioni digitali, che ha preteso non solo di supplire ad una mancanza temporanea, ma di sostituire le relazioni mediate corporalmente[15]. Ma tale modalità disincarnata di relazionarsi ha mostrato nuovi inquietanti pericoli per la persona e per la famiglia. In terzo luogo abbiamo però notato come la famiglia si sia sorprendentemente confermata come fattore decisivo per una società sana e prospera. Ma fino a che punto ciò può continuare in una dinamica sociale avversa ad un’autentica cultura della famiglia?

3. Le possibilità aperte dalla pandemia

La pandemia può anche offrire possibilità positive, come abbiamo visto sostenere da taluni economisti e ingegneri sociali? Ma positive in che senso? Questione decisiva è il criterio del cambiamento. Papa Francesco ha affermato che il problema è proprio il seguente: «Siccome da una crisi non se ne esce mai come prima, il problema è come fare ad uscirne migliori e non peggiori»[16]. Ma con quale criterio si giudica il miglioramento o il peggioramento: con quello del World Economic Forum o con quello della vita buona, secondo i principi dell’esperienza, del cuore e della legge naturale?

La mia tesi è che dipende dalla famiglia se ne usciremo migliori da questa crisi. Contro chi vorrebbe profittarne per ridisegnare la famiglia in chiave ancor più individualistica e privatistica, credo che occorra opporre la via contraria, quella che conduce verso l’alternativa di una famiglia relazionale e generativa, capace di essere il punto di difesa dell’identità della persona umana.

In uno dei suoi ultimi interventi, in occasione degli auguri natalizi alla Curia Romana, il 21 dicembre 2012, papa Benedetto XVI aveva lanciato un grido di allarme proprio sul tema della famiglia, messa radicalmente in discussione nella sua fisionomia naturale, di relazione fondata sul matrimonio come legame stabile tra un uomo e una donna, finalizzato alla procreazione e all’educazione dei figli. Egli ha affermato che qui non è in gioco solo una determinata forma sociale, ma l’uomo stesso nella sua dignità fondamentale: se infatti si rifiuta questo legame «scompaiono le figure fondamentali dell’esistenza umana: il padre, la madre, il figlio». Se perdessimo queste esperienze originarie che ci danno identità, vivremo in una società di individui che non si sanno più figli, che vivono nella confusione dei generi sessuali, che non hanno fratelli, perché figli unici, che non vogliono essere più padri e madri. Staccato dalle relazioni familiari che gli danno identità, e separato da Dio, l’individuo isolato diventa debole e fragile, vittima predestinata di ogni manipolazione del potere.

Ma c’è un’alternativa, dicevamo. Essa consiste nel promuovere una

«famiglia relazionale, nella quale le relazioni fra uomini e donne, così come fra generazioni, sono caratterizzate dalla fiducia, cooperazione e reciprocità come progetto riflessivo di vita. Cioè una struttura sociale di relazioni di cura – come scrive il sociologo Pierpaolo Donati – che ha in sé, per via della generatività della coppia e della trasmissione generazionale, la capacità di realizzare un progetto specifico di vita in comune (…) La famiglia relazionale è bensì una famiglia che si prende cura dell’altro, ma lo fa guardando alla bontà delle relazioni familiari e dei frutti che portano, dando priorità alla relazione sull’interesse individuale, nella consapevolezza che solo certe relazioni, quelle del genoma naturale specifico della famiglia possono assicurare l’identità umana, sessuata e generazionale di ciascuno, nella sinergia delle differenze»[17].

Qui emerge la seconda caratteristica della famiglia, da promuovere: la generatività, cioè la sua capacità di accogliere la vita e di saperla trasmettere. Essa è il “santuario della vita”, diceva san Giovanni Paolo II[18], luogo dove la vita umana, soprattutto quando è debole e fragile, viene accolta, custodita e fatta crescere, dove può formarsi una autentica cultura della vita.

La generatività della famiglia va oltre la dimensione procreativa e diventa capacità di produrre beni relazionali, come sono le virtù che permettono alla società di esistere e di crescere. L’antico filosofo romano Cicerone definiva la famiglia seminarium rei publicae[19] , vivaio dove si coltiva la vita comune e pubblica della società. Oggi, si parla della famiglia come produttrice di capitale sociale[20]. Tale concetto indica il patrimonio e la risorsa culturale che sostiene le relazioni fiduciarie, di cooperazione e reciprocità fra le persone. Si può facilmente capire che una società, per non diventare disumana e autodistruggersi, ha bisogno di attingere i valori della fiducia reciproca, della lealtà, della solidarietà, proprio nell’ambito delle relazioni primarie proprie della famiglia. Essa costituisce il capitale sociale primario, che fonda poi quello secondario, costituito dalle reti e relazioni associative nella sfera civica. Il capitale sociale è dunque un bene relazionale prodotto e fruito insieme, senza del quale la società non può sussistere.

Il ragionamento è qui estremamente semplice: la società ha interesse vitale a favorire quell’agenzia primaria di formazione del capitale sociale che è la famiglia monogamica stabile, fondata sull’unione feconda tra un uomo e una donna. Proprio nella differenza sessuale riconosciuta si ha la forma archetipica dell’accoglienza dell’altro nella sua identità e alterità, che fonda la reciprocità. Solo nella stabilità del legame è possibile che si realizzi la funzione positiva per le persone implicate e la capacità educativa. Solo nella generazione e nell’educazione dei figli la società si assicura il futuro. Solo nel sostegno dei più deboli e degli anziani, garantito dalla famiglia, essa è in grado di rispondere adeguatamente a bisogni sociali emergenti e sempre più imponenti.

Dal punto di vista del cristianesimo, poi, la famiglia sta al cuore dell’esperienza di fede. Essa è la prima originaria testimonianza del Creatore: infatti non c’è famiglia senza riferimento al Creatore, così come attesta la madre dei sette fratelli martiri del secondo libro dei Maccabei (II Mac 7). La differenza sessuale, il patto stabile e fedele tra un uomo e una donna, l’apertura generosa alla vita, sono elementi fondativi del sapiente disegno del Creatore, in corrispondenza con quanto la saggezza delle genti ha riconosciuto come costitutivo della legge naturale.

E d’altra parte nella Rivelazione biblica dell’antico e del nuovo Testamento, Dio ha scelto proprio il linguaggio simbolico della famiglia per rivelarsi, così che le esperienze dell’essere figlio, fratello e sorella, sposo e sposa, padre e madre, sono la base linguistica naturale per parlare in maniera comprensibile di Dio e per capire il suo rapporto con noi e i nostri rapporti con Lui e tra di noi.

Conclusione

La pandemia ci toglie il respiro, non solo fisiologicamente mediante gli effetti talvolta letali della patologia virale Covid 19, ma anche socialmente e umanamente per il timore, che l’isolamento sociale provoca. Jean Guitton diceva che come per respirare abbiamo bisogno dell’atmosfera, così per amare ci è necessario disporre di una “erosfera”[21]. L’amore soffoca se lo si isola come un affare privato, incapace di collegarsi al resto del mondo.

La famiglia è il luogo in cui possiamo ricominciare a respirare, all’interno di quelle relazioni fondamentali che ci danno identità e ci rivelano il nostro compito nel mondo, generando nuove relazioni sociali. Le sfide del Great Reset non possono trovare risposta in forme di ingegneria sociale che snaturano la famiglia, la chiudono in se stessa e la privatizzano, provocando ancor più isolamento negli individui, ma nella promozione di una famiglia che, conforme alla sua indole naturale e al progetto divino originario, sia nello stesso tempo relazionale e generativa, capace di accogliere e far crescere la vita.

  1. Intervista a G.P. Schmitz su “Project Syndicate”, 11 maggio 2020.

  2. Si veda: K. Schwab & Th. Malleret, COVID 19: The Great Reset, ISNB Agentur Schweiz – 2020.

  3. C. Lévi-Strauss, La famiglia [1956], in Razza e storia e altri studi di antropologia, Einaudi, Torino 1967.

  4. Si veda lo studio di P. Donati, Perché “la” famiglia? Le risposte della sociologia relazionale, Cantagalli, Siena 2008.

  5. Cf. W. Reich, La rivoluzione sessuale, Feltrinelli, Milano 2020 (orig. 1936).

  6. P. Donati, “L’opzione-famiglia in una società post-familiare: il gioco delle relazioni nel family warming”, in Centro Internazionale Studi Famiglia, La famiglia nella società post-familiare. Nuovo Rapporto CISF 2020, ed. San Paolo, Milano 2020.

  7. Intervista a Francesco Belletti, Direttore del CISF, in occasione della presentazione del Rapporto CISF 2020: Famiglia Cristiana, numero 29 (16 luglio 2020).

  8. Cf. J. Frenk – O. Gomez Dantés, “The Triple Burden: Disease in Developing Nations”, in Harvard International Review, Cambridge Vol. 33, Fasc. 3,  (Fall 2011), 36-40. I tre elementi identificati sono: 1) arretrato di infezioni comuni, di sottonutrizione e mortalità materna e infantile; 2) le sfide emergenti di malattie non trasmissibili e connesse all’iperalimentazione (cancro, diabete e malattie cardiache); 3) problemi relativi alla globalizzazione, come pandemie e conseguenze dei cambi climatici.

  9. Cf. S. Zamagni, “La lezione e il monito della pandemia da Covid-19”, in Pandemia e resilienza. Persona, comunità e modelli di sviluppo dopo la Covid-19, a cura di C. Caporale e A. Pirni, Consulta Scientifica del Cortile dei Gentili, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma 2020, 31-38.

  10. Centro Internazionale Studi Famiglia, La famiglia nella società post-familiare, cit.

  11. C. Regalia – R. Rosnati – R. Iafrate – D. Bramanti – L. Boccacin – E. Carra’ – M. Lanz (eds.), La Famiglia sospesa, Vita e Pensiero, Milano, Milano 2020.

  12. Cf. P.C. Rivoltella, “Le sfide del digitale alle responsabilità familiari: educare le relazioni nella società iperconnessa”, in Centro Internazionale Studi Famiglia, La famiglia nella società post-familiare, cit.

  13. A. John, “Covid-19: pandemia, disuguaglianze e famiglia”, in Family International Monitor, 2 giugno 2020.

  14. Cf. F. D’Agostino, “La pandemia da nuovo corona virus e la quarta età: problemi di giustizia”, in Pandemia e resilienza, cit., 71-77.

  15. La questione era già stata messa in luce da U. Beck – E. Beck-Gernsheim, L’amore a distanza. Il caos globale degli affetti, Laterza, Bari 2012.

  16. Francesco, “Il mondo che vorrei”, Intervista a F. Marchese Ragona, giornalista del Tg5, 10 gennaio 2021.

  17. P. Donati, “L’opzione-famiglia in una società post-familiare”, cit.

  18. Enc. Evangelium vitae, n. 92.

  19. M.T. Cicerone, De Officiis, I, 54.

  20. Si veda in particolare: P. Donati, La famiglia come capitale sociale primario, in P. Donati (a cura di), Famiglia e capitale sociale nella società italiana, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, 31-101.

  21. J. Guitton, L’amour humain, Aubier, Paris 1955.

 

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Livio Melina

Livio Melina è Teologo Moralista. Già Ordinario di Teologia morale (dal 1996 al 2019) presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia a Roma, di cui fu Preside dal 2006 al 2016. Vi ha fondato e diretto l’Area Internazionale di Ricerca in Teologia morale. Membro ordinario della Pontificia Accademia di Teologia, è stato Direttore scientifico della rivista "Anthropotes" e visiting Professor a Washington DC e a Melbourne. Ha tenuto e tiene corsi e conferenze in varie Università internazionali.

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