Introduzione al libro
Juan José Pérez-Soba, La caridad. El camino mejor en la amistad con Cristo, Didaskalos, Madrid 2024, 11-26.
«Eccoci qui, io e te, e spero ci sia un terzo in mezzo a noi: il Cristo»[1]. Questo è l’inizio del dialogo fittizio tra Aelredo di Rievaulx, monaco cistercense del XII secolo (1110-1167), e il suo grande amico, il cistercense Ivo, anch’egli residente nell’abbazia di Warden[2]. Tale affermazione molto esplicita della presenza di Cristo nella loro unione è presa come ispirazione primaria per parlare di amicizia nel libro molto speciale di Aelredo intitolato L’amicizia spirituale.
Si tratta di un testo di grandissimo interesse, che ha cambiato la spiritualità del suo tempo. Scrivendolo, Aelredo ebbe la grande audacia di passare dalla consueta elevazione dell’anima a Dio nella solitudine della preghiera al dialogo con un amico umano in cui Dio si manifesta e ci permette di approfondire la comprensione della sua presenza. Dopo di lui, molti altri monaci riprenderanno questo genere letterario del dialogo per riferirsi a una relazione più profonda con Dio[3]. Tutto parte da una nuova modalità di analisi esperienziale, in cui Cristo è colui che sostiene le amicizie umane e le utilizza per condurre gli uomini alla perfezione nella loro unione con Lui.
Questa opera rappresenta, in un certo senso, l’inizio di quella che è stata definita l’età d’oro della Teologia dell’Amore[4]. Si tratta di una tappa che può essere considerata il primo prolungamento dell’enorme impatto che la figura di San Bernardo (1090-1153) ebbe nel XII secolo, cambiando il modo di fare teologia, ponendo come primo e centrale punto la contemplazione dell’affetto ricevuto da Dio come dinamica propria della grazia[5].
Abbiamo molto da imparare da questo periodo, perché la centralità dell’amore in teologia non fu affatto un movimento casuale, ma fu in gran parte motivata dalla rivoluzione sessuale causata dall’emergere dell’amore cortese, legato all’eresia catara nel sud della Francia[6]. Tutto ciò si inserisce nel passaggio tra alto e basso Medioevo, un periodo di grandi cambiamenti culturali che hanno influenzato il matrimonio, spesso in modo molto negativo[7].
Ecco perché per l’abate di Chiaravalle era così importante considerare l’amore coniugale, che egli trattò nei suoi sermoni sul Cantico dei Cantici, sempre da un punto di vista cristocentrico di elevazione a Dio[8]. Lo presenta come la rivelazione del più grande amore possibile che appare all’uomo in una profonda unità tra esperienza, teologia e spiritualità. Il suo stile diretto e affettivo fece grande impressione sui suoi contemporanei e rimane un punto di riferimento perenne per approfondire la verità dell’amore. Nel farlo, il Dottore Melifluo era chiaramente consapevole di rispondere alle grandi sfide del suo tempo e di rendere conto, con questo mezzo, della propria vita monastica concepita come una vocazione che coinvolge tutti gli affetti del cuore. Da qui l’enorme attrazione che esercitava nel suo tempo con la sua capacità di portare le persone a compiere il passo di scegliere una vita per Dio.
Ai giorni nostri, così travagliati dalla rivoluzione sessuale degli anni Sessanta del secolo scorso[9], questo riferimento ci offre un esempio per comprendere quanto sia imprescindibile tornare alle radici della teologia dell’amore per avere una luce in mezzo a un insieme di ideologie e confusioni sull’amore umano che ci sconcertano e hanno finito per rendere ambigua anche la cosa più essenziale per un cristiano: saper vivere secondo la carità che ha come primo frutto l’ordine dell’amore e la costruzione di una vita in un cammino di santità.
1. Partendo dall’esperienza dell’amore umano
È con questa intenzione che mi accingo a scrivere questo libro, con l’intento di condividerlo con il lettore. Implica il coraggio di addentrarci nell’esperienza fondamentale dell’amore che ogni essere umano vive, per scoprire come Dio si rende presente in essa, la trasforma e le rivela una via di salvezza. In questo modo, comprendiamo Dio come Amore (cfr. 1 Gv 4,8.16), ma un Amore diverso dal nostro, poiché ci introduce in un mistero che ci travolge. Credo che questa sia stata anche la prospettiva adottata da Josef Pieper nel suo libro Sull’amore, scritto nell’ambito dei suoi studi sulle virtù[10], a cui mi sono ispirato in particolare per questo mio testo. È importante rifarsi all’umanità dell’esperienza dell’amore per scoprirvi l’intimità di Dio (cfr. 1 Cor 2,11).
San Giovanni Paolo II è stato forse una delle persone che meglio ha percepito la necessità di scoprire nel mistero divino dell’amore la luce indispensabile per guidare le persone in ciò che più desiderano: amare ed essere amati. Di lui abbiamo una straordinaria eredità: la Teologia del Corpo, che ci ha lasciato nelle sue catechesi[11] e che contiene un particolare valore antropologico e morale[12].
Un primo sguardo alla nostra cultura attuale mostra il pericolo di banalizzare l’amore al punto che si parla addirittura di La agonia dell’eros[13], per esprimere i veri e propri cortocircuiti presenti nel nostro contesto quando si cerca di comprendere adeguatamente l’esperienza amorosa. Non è difficile notare la difficoltà principale di un emotivismo che confonde l’amore con l’intensità emotiva provata, arrivando a considerare buona un’azione solo perché ci si sente bene a compierla[14]. Questo errore di valutazione affettiva deforma le coscienze e indebolisce il desiderio di costruire una vita basata sull’amore.
Per questo motivo, dobbiamo considerare le Catechesi sull’amore umano come una sorta di antidoto all’emotivismo, aiutando le persone a scoprire una fonte di vero amore su cui basare la propria vita. L’eredità delle catechesi è una luce fondamentale perché i cristiani possano rispondere con verità alla loro vocazione all’amore[15] ed essere così una luce nel mondo (cfr. Mt 5,14). È un fatto di enorme importanza che richiede un’adeguata formazione affinché le persone siano ben consapevoli del virus che colpisce tante persone quando vogliono costruire la propria storia d’amore.
Benedetto XVI ci ha invitati a percorrere questo cammino d’amore con tutte le sue implicazioni, ben consapevoli del suo incomparabile valore umano:
“In tutta questa molteplicità di significati, però, l’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono”[16].
Anche se parliamo di realtà spirituali di enorme valore cristiano, non possiamo mai dimenticare che ci basiamo su un’esperienza umana molto concreta e di valore universale. Ogni essere umano sperimenta l’amore in modo particolarmente significativo e questa esperienza richiede una risposta che ci coinvolga in modo totale. In questo senso, dobbiamo dire che per l’amore non ci sono credenti e non credenti: ogni persona crede in un amore e deve rispondere a questa chiamata in modo consapevole e sincero. È vero che non siamo abituati a questo tipo di argomento, ma è quello che Sant’Agostino dichiara quando vuole definire chi è un vero amante, quando dice:
“Dammi un cuore che ama, e capirà ciò che dico. Dammi un cuore anelante, un cuore affamato, che si senta pellegrino e assetato in questo deserto, un cuore che sospiri la fonte della patria eterna, ed egli capirà ciò che dico. Certamente, se parlo ad un cuore arido, non potrà capire. E tali erano coloro che mormoravano tra loro. Viene a me – dice il Signore – chi è attratto dal Padre”[17].
Come Alfred e Ivo, dobbiamo entrare in quel dialogo d’amore in cui l’esperienza diventa luce ed è in grado di mostrare alle persone una storia d’amore. È impossibile riferirsi a questa esperienza senza parlare di pienezza. L’amore ci parla sempre di un’unione più profonda e più grande, di una crescita a cui dobbiamo rispondere. In quanto tale, ci parla di un viaggio.
2. Vivere la carità cristiana
Lo scopo di questo libro è quello di aiutarci a percorrere questo cammino che, per un cristiano, si basa sull’incontro con Cristo come punto di partenza e guida. Solo così si può parlare correttamente di carità cristiana, perché nessuno ama come Lui, e il suo amore donativo qualifica tutto ciò che è oggetto del suo amore. La carità è possibile per il cristiano perché ha la sua origine nel cuore di Cristo. Questa è l’affermazione essenziale che si basa sull’esperienza di un amore incomparabile. È ciò che ha spinto San Paolo a scrivere in maniera folgorante: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? La tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? […] In tutte queste cose abbondiamo per mezzo di colui che ci ha amati. Sono infatti convinto che né la morte né la vita, né gli angeli né i principati, né il presente né il futuro, né le potenze né l’altezza né la profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci dall’amore di Dio manifestato in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8, 35-38).
Un’affermazione del genere non può che lasciarci stupefatti; è possibile solo se abbiamo vissuto un’esperienza traboccante e sostenuta nel tempo, che abbiamo sperimentato in mezzo alle avversità più difficili. Ci troviamo di fronte a una forza straordinaria, capace di superare ogni pericolo e ogni potere sulla terra. Il cristiano ha ricevuto questo amore unico ed è quindi in grado di viverlo. Questo piccolo scritto vuole aiutare il lettore a scoprire quella fonte inesauribile d’amore che è la carità, immersi nell’intimità di un Dio che è amore (cfr. 1 Gv 4,8.16), per poter vivere davvero in pienezza la propria fede in tutti gli ambiti della vita. Si tratta di un obiettivo molto ambizioso, ma anche molto umile, proprio delle persone più semplici, perché il suo valore consiste nel rispondere a un dono precedente che ci viene offerto. Si tratta di illuminare il più possibile il principio stesso dell’essere cristiani, che si trova nel cuore di Cristo. Così ci ha espresso Benedetto XVI con la sua caratteristica semplicità, proprio nel contesto dell’amore:
“All’inizio dell’essere cristiano non ci sono una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”[18].
La grandezza dell’impresa si può apprezzare in questa affermazione, in quanto comporta connotazioni di totalità di senso, di radicamento nella vita, di promessa di pienezza e di costruzione di una vera fraternità che trasforma il mondo che conosciamo. Al fedele cristiano si presentano una serie di qualità che, per il loro enorme valore, superano ogni tentativo di spiegazione razionale. Tutto questo è vero, ma non possiamo rinunciare al tentativo assolutamente necessario di far bere ad ogni uomo di questa fonte, perché qui si tocca la parte più genuina dell’esperienza cristiana, avendo a che fare con l’aver gustato un primo dono che rende possibile vivere questo amore.
Attraverso l’amore divino, che nel cuore di Cristo si fa umano, è ora Cristo stesso a diventare la via per noi, attraverso un amore che si esprime nella sua carne data per noi. Questo è il nuovo significato che dobbiamo assumere per raggiungere le profondità dell’amore. È ancora Sant’Agostino a insegnarcelo, quando ci spiega in che modo Cristo, attraverso l’incarnazione, è diventato la Via per la nostra vita:
“E come è stato possibile questo, se non perché avevi assunto la carne? Per mezzo di essa sei venuto tra noi pur rimanendo dov’eri, e per mezzo di essa sei ritornato dov’eri prima, senza tuttavia lasciare la terra dov’eri venuto. Se dunque è per mezzo della carne che sei venuto e sei ritornato via, è certamente per mezzo di essa che tu sei la via, non soltanto per noi, per venire a te, ma anche per te stesso sei diventato la via per venire a noi e ritornare al Padre”[19].
I monaci cistercensi del XII secolo consideravano l’amicizia come una via di intimità con Cristo, come il modo per comprendere la sua presenza salvifica tra gli uomini. Il modo in cui questa conoscenza veniva coltivato era caratteristico della loro vita monastica, piena di stupore di fronte al mistero. Nella loro proposta coraggiosa e innovativa per il loro tempo, possiamo riconoscere un’espressione qualificata di quella nuova totalità che Cristo porta. È ciò che li ha portati a scrivere:
“Non c’è nulla di più sublime, di più vero, di più utile dell’amicizia che possa essere detto se non che essa comincia in Cristo, che si produce secondo Cristo e che si deve cercare di perfezionare con Cristo” [20].
Nell’esprimere ciò, erano anche consapevoli che la principale novità che stavano aprendo era un nuovo modo di intendere la vita comunitaria in cui l’affetto, e non solo la regola, aveva un valore. Si infrangeva il rigore di Evagrio Pontico (345-399), uno dei primi regolatori della vita monastica, che considerava sospetta ogni “amicizia particolare” come un modo di divisione all’interno della comunità[21]. Nella nuova prospettiva, l’amicizia ricevuta aveva un fondamento cristologico e non era intesa in modo intimo come una chiusura tra due, ma come una forza che apre l’uomo a molte relazioni e lo rende un uomo di comunione. Tale fu la vita di Aelredo, ricca di amicizie profonde. Infatti, nella sua vita monastica si distinse per aver risolto i conflitti tra le comunità e all’interno della comunità stessa[22]. Ciò ci permette di affermare con certezza che l’aspetto sociale della carità, così fortemente enfatizzato da Benedetto XVI[23] e da Papa Francesco[24], è una dimensione intrinseca a questa virtù.
All’interno dell’estensione culturale dell’amore romantico, c’è stata anche la sua privatizzazione e la conseguente perdita di rilevanza nella sfera sociale, insieme all’emozionalizzazione dell’amore. Così, questa sfera è stata lasciata in balia delle dinamiche di un legalismo segnato dal positivismo giuridico e di un utilitarismo che perde la concezione autentica del bene comune, strettamente legato all’amore[25]. Possiamo comprendere l’impronta autoritaria che questo comporta e che abbiamo sperimentato durante la pandemia. Aveva ragione Giovanni Paolo II quando affermava: “Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”[26].
È importante ricordarlo per comprendere appieno la potenza dell’amore di Cristo e la trasformazione che la sua amicizia tra gli uomini opera nella storia. Si tratta di una luce fondamentale per la vita di ogni cristiano. Cristo non può essere sostituito dal semplice altruismo, come voleva Feuerbach (1804-1872), maestro di Karl Marx[27]. La situazione attuale di grande frammentazione sociale e di concezione della morale in profonda crisi può essere vista come una conseguenza dell’aver rimosso l’amore di Cristo dalla vita sociale e del tentativo di una radicale secolarizzazione della carità, “come se Dio non esistesse”[28].
3. Alla sequela di Cristo
Come ci insegna Benedetto XVI[29] la centralità cristiana della carità va oltre ogni moralismo che cerca di ridurre l’apporto cristiano a una serie di precetti. La carità, infatti, ci spinge fin dall’inizio a cercare una luce speciale nel cuore di Cristo, nella sua vita reale. Questo è il tema centrale di questo libro: il vero principio di tutta la morale cristiana può essere colto solo a partire dalla sequela di Cristo, intesa non come un sistema di regole, ma come una fonte di vita. La vita di un cristiano:
“consiste, in termini di semplicità evangelica, nel seguire Gesù Cristo, nell’abbandonarsi a Lui, nel lasciarsi trasformare dalla sua grazia e rinnovare dalla sua misericordia, che ci raggiungono nella vita di comunione della sua Chiesa”[30].
Se siamo veloci ad ammettere che l’amore è il principio che deve illuminare le nostre azioni, non lo siamo altrettanto quando si tratta di determinare il modo concreto di realizzarlo e di specificare il valore conoscitivo del vero amore per discernere il bene e il male. Per molti, il riferimento all’amore è di per sé ambiguo e dovrebbe essere emarginato nell’epistemologia morale. Quando si parla di seguire una persona, si introduce un criterio intersoggettivo che riveste un ruolo importante nella logica dell’amore. Questo fa parte del prendere sul serio l’amore e, nel caso dell’amore divino, rivela un tipo di amore diverso. Papa Benedetto ha voluto insegnarlo dicendo che si tratta di un “cuore che vede”, prendendo questa terminologia dalla parabola del Buon Samaritano: “Il programma del cristiano – il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù – è «un cuore che vede». Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente”[31].
Si tratta di una relazione personale che non può essere sostituita da nulla. Chiede ai fedeli di lasciarsi toccare da Colui che ha aperto la via dell’amore con la propria vita. Il modo in cui l’amato ci tocca interiormente e ci trasforma con la sua presenza amorosa è ciò che fa dell’amore una fonte di vita e di crescita. Questo ha senza dubbio un valore unico nell’amicizia con Cristo, in cui Egli prende sempre l’iniziativa per attirarci nel mistero della sua vita, affinché possiamo essere veramente toccati dal suo amore. In quanto amicizia, si tratta di un amore reciproco che ci spinge ad approfondire un’unione mutua che forma un’intimità che unisce gli amici nel loro intimo in una vera e propria comunione di persone. Possiamo quindi parlare di un’azione comune che, in questo caso, ci arricchisce in modo speciale, perché, “ciò che possiamo fare attraverso i nostri amici, possiamo farlo in qualche modo anche per noi stessi”[32]. Tutte le riflessioni contenute in questo piccolo libro sono un approccio a quello speciale modo di conoscere che nasce dall’unione con l’Amato che ci sostiene nella nostra vita. In questa dinamica, il primato di Cristo è molto chiaro: è Lui che ci invita a partecipare ai misteri della sua vita come vera via di salvezza: “La vita di Cristo – il suo modo di conoscere il Padre, di vivere totalmente nella relazione con Lui – apre uno spazio nuovo all’esperienza umana e noi vi possiamo entrare”[33].
È la vita che scaturisce dalla carità e che dinamizza e attiva tutte le dimensioni umane nell’orizzonte della partecipazione all’unione tra Cristo e il Padre (cfr. Gv 15,9) per donarci la vita dei figli di Dio. Perciò, le azioni di Cristo, quelle che ha compiuto sulla terra nel suo cammino verso il Padre, non ci sono estranee[34]. Attraverso il dono dello Spirito, le azioni di Cristo ci uniscono a Lui più profondamente, nei passi che costruiscono quella vita piena che caratterizza la nostra stessa vocazione.
4. Guardare a Cristo
Dobbiamo guardare a Cristo per poter compiere con speranza il cammino che intraprendiamo. Saremo in grado di percorrere il cammino della nostra fede: “tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (Eb 12,2). Questo significa avere uno stile di vita che guidi la nostra esistenza cristiana:
“Infatti, nel darci il suo Figlio, che è il suo Verbo, che non ne ha altri, ci ha detto tutte le cose insieme e in una sola volta in quest’unica Parola […] dandoci il Tutto, che è il suo Figlio. Perciò, chi ora volesse chiedere a Dio, o desiderasse qualche visione o rivelazione, non solo sarebbe stolto, ma farebbe torto a Dio, non ponendo gli occhi interamente su Cristo, senza desiderare altro o qualcosa di nuovo”[35].
San Giovanni della Croce ci offre una profonda interpretazione dello sguardo nella vita dell’uomo, presentandoci la grandezza dell’amore cristiano. Lo sguardo è espressione di un modo personale di porsi. Questo valore singolare nasce dalla certezza dell’intelligenza dell’amore che ci porta a dire: “ubi amor, ibi oculus”; “dove c’è l’amore, lì c’è l’occhio”[36].
Rispondere alla chiamata del Signore, come Amato, è certamente intraprendere un cammino, ma lo si fa sempre con la certezza interiore che all’inizio non sa dove porterà. Solo in stretta unione con Cristo è possibile realizzarlo nella sua giusta bellezza. Questo è ciò che la Chiesa ha compreso tramite la categoria dell’ordine della carità, che è in grado di ordinare tutti gli affetti del nostro cuore[37].
San Massimo il Confessore (580-662) è stato un grande sostenitore dell’amore umano di Cristo. Egli riuscì a confutare le eresie secondo cui Gesù, essendo il Figlio di Dio, amasse solo come Dio e non avesse una volontà umana. In qualità di maestro spirituale, il padre della Chiesa ci insegna ad amare nel cuore umano di Gesù Cristo, esortandoci a diventare veri discepoli dell’unico Maestro d’amore.
“Molti hanno detto tante cose sull’amore, ma, avendolo cercato, lo trovo solo tra i discepoli di Cristo, perché solo loro hanno come Maestro d’amore lo stesso vero Amore di cui è stato detto: «Se ho il dono della profezia e conosco tutti i misteri e tutta la scienza, ma non ho l’amore, non mi serve a nulla». Infatti, chi ha trovato l’amore ha trovato Dio stesso, perché «Dio è amore». A Lui sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen”[38].
[1] Elredo de Rieval, De spiritali amicitia, l. 1,1, en Opera omnia, (CCCM 1,289).
[2] Cfr. H. Hoste, “Preface”, en Elredo de Rieval, De spiritali amicitia, l.c., 281
[3] Para su contextualización: cfr. A. Prieto Lucena, De la experiencia de la amistad al misterio de la caridad. Estudio sobre la evolución histórica de la amistad como analogía teológica desde Elredo de Rieval hasta Santo Tomás de Aquino, Publicaciones de la Facultad de Teología “San Dámaso”, Madrid 2007, 171-211.
[4] Así en: F. Zambon, “Introduzione generale”, en Id. (a cura di), Trattati d’amore cristiani del XII secolo, I, Mondadori, Milano 22008, IX-LXXXIX. Su trabajo se ha editado en dos volúmenes.
[5] Sobre todo con: San Bernardo, De diligendo Deo, en Obras Completas de San Bernardo, I: Introducción general y Tratados (1ª), BAC, Madrid 21993, 300-358. Tal como lo explica: É. Gilson, La théologie mystique de saint Bernard, Vrin, Paris 1947. Fue San Bernardo el que mandó a Elredo escribir el libro De speculo caritatis del que escribe el prólogo y le da el nombre: cfr. San Bernardo, “Epistola Beati Bernardi abbatis Clarevallis ad Aelredum abbatem”, en De speculo caritatis, en Opera omnia, (CCCM 1,3-4).
[6] Como lo muestra: D. de Rougemont, L’amour et l’Occident, Plon, Paris 1939.
[7] Como lo expone en referencia al famoso caso de Abelardo y Eloísa: E. Gilson, Eloísa y Abelardo, EUNSA, Pamplona 2004.
[8] San Bernardo, Sermones sobre el Cantar de los Cantares, en Obras completas de San Bernardo, V, BAC, Madrid 1987.
[9] Me remito a: C. Sweenay, “Rivoluzione sessuale”, en J. Noriega –R. & I. Ecochard (a cura di), Dizionario su sesso, amore e fecondità, Cantagalli, Siena 2019, 839-844.
[10] Cfr. J. Pieper, El amor, en Id., Las virtudes fundamentales, Rialp, Madrid 1980, 415-551.
[11] Juan Pablo II, Hombre y mujer lo creó, Cristiandad, Madrid 2000.
[12] Para una mejor comprensión de esta enseñanza: cfr. C. A. Anderson –J. Granados, Llamados al amor. Teología del cuerpo en Juan Pablo II, Monte Carmelo, Burgos 2011.
[13] Byung-Chul-Han, La agonía del eros, Herder, Barcelona 22018.
[14] Cfr. A. MacIntyre, After virtue. A Study in Moral Theory, Duckworth, London 21985, en particular el capítulo titulado: “Emotivism: Social Content and Social Context”: ibidem, 23-35. El principio intelectual del emotivismo se encuentra en: G. E. Moore, Principia Ethica, Cambridge 1903.
[15] Cfr. Juan Pablo II, C.Enc. Redemptor hominis, n. 10; Id., Ex.Ap. Familiaris consortio, n. 11. Un estudio sobre Juan Pablo II: M. T. Cid Vázquez, Persona, amor y vocación. Dar un nombre al amor o la luz del sí, Edicep, Valencia 2009.
[16] Benedicto XVI, C.Enc. Deus caritas est, n. 2.
[17] San Agustín, In Evangelium Ioannis Tractatus, tr. 26, 4 (CCL 36,262s.).
[18] Benedicto XVI, C.Enc. Deus caritas est, n. 1. Cfr. Francisco, Ex.Ap. Evangelii gaudium, n. 7, que cita este texto: “No me cansaré de repetir aquellas palabras de Benedicto XVI que nos llevan al centro del Evangelio”.
[19] San Agustín, In Evangelium Ioannis Tractatus, tr. 69, 3 (CCL 36,501).
[20] Elredo de Rieval, De spiritali amicitia, l. 1, 10, l.c., 291.
[21] Cfr. Ph. Delhaye, “Deux adaptations du «De amicitia» de Cicéron au XIIe siècle”, en Recherches de Théologie Ancienne et Médiévale 15 (1948) 305-331.
[22] Cfr. A. Le Bail, “Aelred de Rievaulx”, en Dictionnaire de Spiritualité I, 225-234.
[23] Sobre todo en: Benedicto XVI, C.Enc. Caritas in veritate, (29.06.2009).
[24] La “caridad social” de: Francisco, C.Enc. Fratelli tutti, (3.10.2020).
[25] Cfr. J. Ballesteros Molero, “Del bien común al bien de la comunión”, en R. Rubio de Urquía –J.J. Pérez-Soba (eds.), La Doctrina Social de la Iglesia. Estudios a la luz de la encíclica Caritas in Veritate, BAC, Madrid 2014, 283-304.
[26] Juan Pablo II, C.Enc. Centesimus annus, n. 46.
[27] Cfr. L. Feuerbach, La esencia del cristianismo, Sígueme, Salamanca 1975, la obra es de 1841.
[28] Según el conocido principio de: H. Grotius, De Jure Belli ac Pacis (1625), Prolegomena.
[29] Que sigue en ello a: R. Guardini, La esencia del cristianismo, en Id., La esencia del cristianismo. Una ética para nuestro tiempo, Cristiandad, Madrid 2002, 7-106, la obra es de 1929.
[30] Juan Pablo II, C.Enc. Veritatis splendor, n. 119.
[31] Benedicto XVI, C.Enc. Deus caritas est, n. 31b.
[32] Santo Tomás de Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 5, a. 5, ad 1. Es una cita de: Aristóteles, Ética a Nicómaco, l. 3, c. 3, 1112 b 27 s.
[33] Francisco, C.Enc. Lumen fidei, n. 18.
[34] Cfr. J. Granados García, Teología de los misterios de la vida de Jesús, Sígueme, Salamanca 2009.
[35] San Juan de la Cruz, Subida al Monte Carmelo, 2, 22,3, en Obras completas, Editorial de Espiritualidad, Madrid 31988, 286-287; citado en: CCE, n. 65.
[36] Ricardo de San Víctor, Benjamin minor, c. 13 (SC 419,126).
[37] Cfr. S. J. Pope, The Evolution of Altruism and the Ordering of Love, Georgetown University Press, Washington, D.C. 1994.
[38] San Máximo el Confesor, Capita de caritate, IV, 100 (PG 90,1074).
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