La genealogia familiare della persona umana: il dono nella carne

Livio Melina

Intervento al III Congresso Internazionale “Matrimonio e famiglia” con il tema “Paternità responsabile”, tenutosi a Cracovia dal 13 al 15 novembre 2024

Generare è l’esperienza più fondamentale e imprevedibile che un essere umano possa vivere. Oggi però è avvertita come una responsabilità così gravosa, che gli uomini e le donne si sentono impreparati e impauriti per affrontarla, tanto che ormai frequentemente se ne sottraggono. L’odierna crisi della generatività, che si manifesta nel “deserto demografico” dell’Europa e dell’Occidente, esprime un rifiuto del legame oneroso con un figlio, tanto più quando assunto insieme ad un’altra persona così differente da sé. Ciò favorisce il centrarsi nell’uomo isolato, con un fraintendimento della libertà, che viene intesa come autonomia assoluta.

1. La pretesa prometeica di “auto-generarsi”

Alla radice di questo smarrimento e della conseguente sterilità, non sta forse il desiderio malsano dell’uomo di farsi da sé, di “auto-generarsi” o anche di “generare da solo”, a prescindere dall’unione corporea e dalla differenza sessuale tra uomo e donna? Alla fine questa pretesa implica il rifiuto di riconoscere un’origine anteriore, che si rivela per primo nella sua natura, nella sua corporalità creata.

Nel discorso alla Curia del 21 dicembre 2012, Papa Benedetto XVI affermò che le sfide culturali alla famiglia oggi non riguardavano solo una determinata forma sociale, perché in esse era in gioco la questione dell’uomo stesso. Nell’attacco “all’autentica forma di famiglia” è in discussione non solo la definizione di libertà, ma la questione di “ciò che significa essere uomini”. Dall’ideale prometeico di autogenerazione deriva una doppia conseguenza.

In primo luogo, se l’individuo può auto-generarsi, allora anche i suoi rapporti perdono la loro novità, quel “di più”, a cui è chiamata ogni persona e che essa trova solo nell’amore, in quanto l’amore è superiore alla somma dei due individui che si amano. I legami perdono la capacità di generare la persona, che è ridotta al soggetto isolato, secondo uno slogan che è stato formulato per giustificare il matrimonio tra omosessuali: “a individui uguali, amori uguali”. Inoltre, se l’individuo può autogenerarsi, allora può anche “generare da solo” altri individui, che sono così ridotti a oggetti di dipendenza, frutto di un progetto e di un intervento tecnologico, che elimina il riferimento alla paternità e maternità come testimonianza del Creatore della vita.

Da questi due punti risulta che l’auto-generarsi porta necessariamente ad un impoverimento radicale dell’esperienza e coincide così, paradossalmente, con l’obliterazione del concetto di generatività. Uno studio approfondito della generatività diventa in questo contesto una chiave essenziale per rispondere alla sfida contemporanea del declino demografico dell’Occidente, sviluppando un’antropologia relazionale radicata nella carne e nel suo linguaggio di comunione.

Per ritrovare il significato della dimensione di generatività della persona sarà prima di tutto necessario “piegare le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità, nei cieli e sulla terra prende nome” (Ef 3, 14). La dimensione teologica del generare permetterà poi di percepirne anche le dimensioni antropologiche di un dono nella carne, in cui la logica della persona e della reciprocità permettono di superare tanto la tentazione prometeica quanto la fuga timorosa dalla responsabilità.

2. Generazione e immagine di Dio

Vorrei iniziare la riflessione sulla dimensione teologica del generare da una questione che San Tommaso d’Aquino si pone a proposito dell’antropologia: “l’angelo è forse a immagine di Dio più dell’uomo?”[1] È  una domanda che pare astrusa a noi teologi moderni, che abbiamo da tempo smesso di pensare agli angeli[2], ma si trattava di una questione difficile anche per il Doctor Angelicus, in quanto le due autorità teologiche di riferimento rispondevano diversamente: Sant’Agostino sosteneva che Dio non aveva dato a nessun’altra creatura, tranne che all’uomo, di essere a sua immagine, anche perché era stato formato direttamente da Dio senza la mediazione di altre creature[3]. Al contrario San Gregorio Magno riteneva gli angeli dotati di somiglianza più marcata, in quanto “segnacoli di somiglianza”[4]. L’equilibrata risposta dell’Aquinate afferma che l’immagine di Dio è presente in modo più perfetto negli angeli per quanto riguarda la natura intellettuale, che è la dimensione specifica dell’immagine: infatti essi comprendono e amano Dio più perfettamente di noi uomini.

E tuttavia vi sono altri aspetti secondari per cui l’immagine di Dio è più presente nell’uomo che nell’angelo, e tra questi spicca proprio la generazione: l’essere umano infatti procede da un altro essere umano, così come Dio viene da Dio. Ciò rimanda alla somiglianza specifica con la Santissima Trinità in cui il Figlio procede dal Padre per generazione. E quando si parla della Santissima Trinità, i nomi di Padre e Figlio non sono metafore.

San Tommaso si affretta a precisare che qui non si tratta tanto del livello biologico della riproduzione, perché allora anche gli animali privi di intelligenza sarebbero a immagine di Dio, ma piuttosto della procreazione di un corpo personale, che procede dall’unione di due corpi personali. In altre parole la preminenza dell’immagine dell’uomo rispetto all’angelo nell’aspetto secondario della generazione, è fondata anch’essa sulla natura intellettuale della persona, aspetto preminente dell’immagine in cui l’angelo è superiore. Si deve però osservare che la nobiltà della generazione umana, che riflette la vita intima di Dio Trinità più della stessa natura angelica, implica nell’uomo l’intima unione di anima e corpo (anima et corpus unus) e non appena un’associazione estrinseca di un corpo animale con un’anima spirituale[5].

Ecco dunque la differenza tra riproduzione e procreazione: la persona umana deriva da un’altra persona umana non come riproduzione biologica di un esemplare di una specie animale, in cui il valore della specie prevale sempre sul singolo esemplare[6], ma come emergere nell’ambito della biologia e della realtà corporea della sessualità di una singolarità personale irriducibile, che può rimandare solo a Dio stesso come a sua origine. Per questo Eva può gridare con esultanza: “Ho acquistato un uomo dal Signore” (Gen 4, 1), non per oscurare la dimensione biologica, ma per riconoscere l’origine ultima di una persona umana, che nasce “a immagine di Dio” nella sua irripetibile unicità. “La generazione è la continuazione della creazione”[7].

Quella certa somiglianza, poi, tra l’unione delle Divine Persone nella Santissima Trinità e l’unione dei figli di Dio nella carità, che si esprime anche nel divenire una sola carne di uomo e donna, si può spiegare solo quando si interpreta l’amore come dono di sé, così come ne parla Gesù nella grande preghiera sacerdotale del capitolo 17 del vangelo di Giovanni. Come scrisse Stanisław Grygiel in una affermazione che giustamente ispira il nostro convegno: «La generazione e non la solitudine è inscritta nell’essere l’uomo persona»[8]. Ed è inscritta come possibilità dell’unione nella carne tra uomo e donna, resa possibile dalla differenza sessuale.

Certamente, come sottolinea San Tommaso nel suo Commento[9], l’essere “una sola cosa” del Padre e del Figlio, sia a livello di essenza, che di amore personale (unitas essentiae et amoris) non potrà mai essere eguagliata dall’unità realizzata da persone umane, tanto per l’impossibilità metafisica dell’unità numerica della natura umana, quanto dall’impossibilità morale dell’amore umano, che è sempre amore partecipato e infuso da una realtà previa e superiore. Eppure proprio il fatto che la trasmissione della vita umana passa attraverso la carne permette un’eccellenza della generazione nel riflettere l’imago Dei, cui gli angeli non possono ambire. Gli angeli infatti non si sposano, non generano e non hanno famiglia o fratelli. Ognuno di essi è una specie per sé stesso. Esaminiamo ora l’eccellenza della generazione umana, nel riflettere l’immagine di Dio, ad un duplice livello: quello dell’unicità personale nella famiglia e quello della vocazione alla reciprocità e alla comunione.

3. La famiglia generativa e la logica della persona

La logica della persona, innanzitutto, è ciò che qualifica specificamente le relazioni di quella prima società umana, che è la famiglia. Per comprenderlo possiamo partire da un’esperienza molto semplice e comune[10]. Di fronte alla nascita di un bambino, possiamo avere lo sguardo della mamma che lo accoglie tra le sue braccia, oppure lo sguardo di un’impresa che commercializza prodotti per l’infanzia. Quest’ultima valuterà l’evento in modo certamente molto positivo, pensando: “com’è vantaggioso per noi che nascano bambini!” e farà statistiche per calcolare l’utile che gliene verrà dall’incremento della natalità, in modo da organizzare la produzione e il commercio in forma razionale e redditizia. Ogni neonato sarà un numero e il suo valore dipenderà da quanto quel bambino potrà incrementare il fatturato dell’azienda. Quanto diverso è invece lo sguardo della madre, che tiene tra le braccia il proprio figlio! Essa penserà: “quanto è bello che tu esista!”. Per lei quel bambino non sarà un numero, ma una persona unica e irripetibile, insostituibile, amata non per i vantaggi che porta, ma per sé stessa, come persona.

Giovanni Paolo II espresse così questo concetto: «Nella biologia della generazione è iscritta la genealogia della persona»[11]. Nell’intreccio di corpo e di spirito, di relazioni e di libertà, di biologia e di educazione, la famiglia è il luogo dove si genera la persona nella sua unicità irriducibile. Il grande papa polacco afferma che proprio nella paternità e maternità umana Dio è presente, in modo diverso da come avviene per ogni altra generazione sulla terra, poiché secondo l’insegnamento della Chiesa l’anima di ogni essere umano è creata immediatamente da Dio[12].

E proprio nell’unione dei corpi maschile e femminile, espressione simbolica del dono delle persone nell’amore, si apre lo spazio per riconoscere l’unicità della persona che viene generata e la sua origine da Dio Creatore. Solo nella dimenticanza dell’origine si può equivocare la paternità pretendendola totale e riducendola in realtà ad una decisione condizionata. Quando l’artificio prende il sopravvento e si sostituisce alla mediazione simbolica del corpo, allora si oscura l’origine da Dio e si deforma la paternità e maternità umane.

La logica dell’utilità e dei numeri non è né da demonizzare né da escludere. Ha un suo senso ed anche una sua necessità nell’ambito dei rapporti umani. Ma se essa prevale nella società fino a diventare criterio esclusivo, allora le relazioni tra gli esseri diventeranno solo strumentali, cioè relazioni utilitaristiche e contrattualistiche, dove alla fine ciascuno cerca di far prevale il suo interesse, così che domina il più forte e i deboli finiscono per essere strumentalizzati, quando non schiacciati ed oppressi. Lo sguardo che coglie la persona come un fine e mai solo come un mezzo coincide con quella che possiamo chiamare la prospettiva etica, che si basa sull’infinita differenza che esiste tra “qualcosa” e “qualcuno”[13]. In fondo è quello che Immanuel Kant intendeva quando illustrò la differenza tra la logica che governa lo scambio tra le cose e la logica che concerne le relazioni tra le persone, che lui chiamava il “regno dei fini”, cioè la società umana[14]. Le cose hanno un prezzo, proprio perché sono tra loro scambiabili, mentre le persone hanno una dignità, perché sono insostituibili.

Ora la famiglia è il luogo dove le persone intrattengono tra loro rapporti non primariamente secondo la logica funzionale propria delle attività in cui avvengono scambi di cose, ma secondo la totalità delle dimensioni della loro vita. Si tratta di relazioni in cui la persona è voluta e amata “per sé stessa” e non esclusivamente in vista di un’utilità. Pensiamo a due tipi di relazioni che costituiscono l’essenza della famiglia: quella tra sposo e sposa, in cui ciascuno è assolutamente unico e insostituibile per l’altro, e quella tra madre e figlio, cui già abbiamo fatto riferimento e nella quale emerge la preziosità insostituibile della persona.

Possiamo allora cogliere come la famiglia si collochi all’origine della generazione di quanto è propriamente umano: l’identità singolare e unica della persona ha infatti un suo nesso costitutivo proprio con la generazione, secondo una prospettiva di continuità della vita, che viene trasmessa come un dono gratuito, ma anche di irriducibile novità del soggetto, che viene alla luce e che è chiamato ad essere grato e responsabile di quel dono[15]. La generazione della persona avviene infatti nella carne, ma dev’essere confermata dalla parola, dove la scelta del nome ha ruolo fondamentale[16]. Nella continuità delle generazioni fiorisce la novità irripetibile della persona, che non nasce solo biologicamente, ma che deve essere continuamente accompagnata a rinascere, attraverso l’educazione e quella rigenerazione continua del senso e delle energie della vita che accade nelle relazioni interpersonali di cui viviamo. Con un’intuizione geniale San Tommaso d’Aquino chiamò infatti la famiglia, un “utero spirituale”, in quanto è l’ambiente che è chiamato a portare a compimento la prima nascita[17]. In essa accade infatti quel reciproco farsi dono della propria umanità, che è il livello autenticamente personale della comunione familiare.

4. La logica della reciprocità e del dono

Possiamo compiere ora un secondo passo, strettamente legato al primo, in quanto ne sviluppa la logica a livello delle relazioni. Se la persona infatti non è un individuo autonomo isolato, ma è definita nella sua identità dalle relazioni, allora proprio la famiglia mostra che il bene proprio della persona non è mai raggiungibile a prescindere dal bene dell’altro o addirittura a scapito del bene dell’altro. L’essere umano è sempre definito da legami di appartenenza: è figlio di un padre e di una madre, fratello di qualcuno, sposo o sposa di un altro essere umano sessualmente differente da lui e questo gli permette di essere lui a sua volta padre e madre e di realizzarsi in una apertura generosa a nuovi legami. Si supera così tanto il formalismo dell’etica kantiana, quanto l’astratto egualitarismo contrattualista, che ignorano le differenze tra le persone, radicate nei sessi e nella generazione.

Nella famiglia il riconoscimento dell’altro come un bene per me, indipendentemente dalla sua utilità, porta alla scoperta della logica della reciprocità e del dono, e quindi all’esistenza di un bene comune dello stare insieme, che non è determinato solo dall’utilità di organizzare una cooperazione operativa per avere a disposizione più cose, diversificando le funzioni per produrle. Nel riconoscimento la differenza non è annullata, ma abbracciata come una risorsa della relazione, diventando la base per il dono.

Certamente anche e soprattutto in tempi di crisi economica si fa esperienza della grande utilità della famiglia come ammortizzatore sociale; allo stesso modo non c’è dubbio che sia anche legittimo che i genitori possano guardare ai propri figli sperando che potranno riceverne un aiuto nella vecchiaia, ma in ogni caso questa utilità delle relazioni familiari si fonda su un aspetto più essenziale: la relazione con l’altro è un bene in sé stessa, prima che per i vantaggi materiali che comporta.

La logica della reciprocità si fonda sul riconoscimento che la persona dell’altro è un bene in sé stessa e per sé stessa e che la relazione tra le persone, così impostata, è un bene comune all’interno del quale solamente fiorisce anche il bene dei singoli. Nella famiglia il bambino appena nato, che non può ancora contribuire al sostentamento, è accolto e amato non per il vantaggio che se ne trae[18]. E l’anziano, che non è più produttivo, è accudito e venerato non solo per la pensione che porta. E quando un familiare si ammala, non viene abbandonato ai servizi della sanità pubblica.

La logica della reciprocità è anche la logica del dono, secondo la quale vi è un anticipo iniziale di credito nei confronti dell’altra persona, affinché essa possa crescere, svilupparsi fino ad essere lei stessa capace di donare. I genitori offrono ai loro figli una serie continua e prolungata di attenzioni e di benefici, che non si collocano entro la logica mercantile dello scambio tra equivalenti, o del “do ut des”. E tuttavia la logica del dono non è affatto in contrasto con quella dell’interesse[19]. Chi dona, anche se non è immediatamente interessato al contraccambio, è tuttavia interessato a creare un legame stabile, mediante un credito anticipato, in modo da promuovere la crescita della persona stessa destinataria del dono, finché quest’ultima diventi non solo autonoma, ma anche capace di entrare nel circolo virtuoso della donazione, maturando una propria capacità di donare a sua volta, forse non tanto ricambiando chi è stato autore primo del dono, ma aprendo un credito a nuovi destinatari, che nel frattempo sono venuti al mondo.

Ma anche nel caso che chi riceve il dono, per le sue condizioni di salute, di grave o addirittura irreversibile menomazione, non fosse in grado di restituire ciò che gli è stato donato e potesse apparire solo come beneficiario a fondo perduto di cure e attenzioni, anche lui in realtà diventa prezioso per la vita sociale, in quanto testimonia proprio del valore unico e preminente della persona e quindi del fondamento ultimo su cui i rapporti sociali si basano[20]. Nella prospettiva personalistica e solidale, anche il più debole, l’anziano, il diversamente abile, il malato sono valori essenziali del bene comune. La logica della reciprocità e del dono è dunque generativa di un bene comune autenticamente personale nella società, che non è fatto principalmente di cose o di condizioni giuridiche formali, ma di azioni, di pratiche e di stili di vita che costruiscono relazioni e vita buona.

Al contrario, una prospettiva strettamente utilitaristica e di scambio tra equivalenti si dimostra ultimamente miope: riesce a vedere solo i vantaggi materiali della cooperazione, in vista del bene individuale, e non quelli relazionali e pratici che li producono. Vede perciò con sospetto tutti i legami tra le persone, a partire da quelli familiari e tende a dissolverli. Contrappone quindi il bene comune della società a quello della famiglia. Vuole relegare quest’ultima nel privato e socializzare la cura, l’educazione, l’assistenza, rendendole impersonali. Nega il principio di sussidiarietà e tende a privare la persona e la famiglia di protagonismo sociale.

Ha creato il mito del cosiddetto “familismo amorale”[21]: le più che giustificate critiche verso specifiche deformazioni che chiudono gli individui in una cerchia familiare autoreferenziale, privandoli di ogni senso civico, sono state trasformate in uno stigma globale contro il valore e il significato della famiglia nella società tradizionale. Il “particolare” familiare sarebbe l’inveterato vizio cattolico che impedisce l’universalità del sentire civile moderno. Ma in realtà è stata proprio la miopia dell’impostazione utilitaristica che ha provocato il collasso attuale delle società occidentali, nelle quali l’intima connessione tra questione della famiglia e questione sociale è drammaticamente documentata dalla crisi demografica che l’Europa si trova a fronteggiare. Essa si qualifica non solo come declino della natalità, ma anche come dissipazione del capitale sociale tradizionalmente assicurato alla società dalla famiglia[22].

La crisi dell’Europa ha la sua radice ultima e profonda nella crisi della famiglia: da decenni viviamo un modello di sviluppo che ha privatizzato la famiglia, subordinandola rispetto alle immediate esigenze del mercato e del sistema produttivo. L’incuria del problema demografico, per anni trascurato o forse meglio oscurato da un falso allarme circa la sovrappopolazione mondiale, è dovuta ad una concezione individualistica dell’essere umano. Il dato statistico documenta un’impasse paradossale tra un persistente desiderio di avere una famiglia con almeno due o tre figli e la realtà della precarietà e della denatalità. La difficoltà ha la sua radice nella crisi che colpisce al cuore il nesso tra matrimonio e famiglia, per cui si hanno “famiglie senza matrimonio” (convivenze precarie) e “matrimoni senza famiglia” (DINK, acronimo perdouble income no kids). Queste forme di familiarità incompiute piuttosto che produrre capitale sociale nella logica della reciprocità e del dono, lo consumano.

Conclusione

Se si guardano le cose più in profondità, si deve riconoscere che la famiglia naturale non è generativa del bene comune sociale solo perché fa figli, ma che in realtà essa «fa figli – avendone le condizioni – perché è preceduta da una relazione generativa, portatrice di una simbolica generativa peculiare ed esemplare»[23]. È ciò che ho chiamato appunto logica della reciprocità e del dono, e che costituisce il contributo della famiglia al bene comune della società. La crisi demografica che attanaglia le società occidentali è prima di tutto crisi di speranza, cioè crisi di senso e di futuro. Per uscirne c’è bisogno di ritrovare la grandezza della vocazione generativa delle persone nell’amore, che riflette l’immagine di Dio nell’uomo e nella donna. E c’è bisogno di sperimentarne la convenienza antropologica, per cui proprio nella famiglia generativa si apprezza il valore irriducibile della persona e si pongono le basi per il bene comune della società.

[1] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 93, a. 3.

[2] Con fine ironia, Giacomo Biffi osserva che il Nuovo Dizionario di Teologia delle Edizioni Paoline del 1976 non aveva nessuna voce dedicata agli angeli e neppure un rimando nell’indice analitico: cf. G. Biffi, Le cose di lassù. Esercizi spirituali predicati alla presenza di Sua Santità Benedetto XVI, Cantagalli, Siena 2007.

[3] Sant’Agostino, Serm. ad Popul., serm. XLIII, cap. 2: PL 38, 255; Qu. 51: 40, 33.

[4] San Gregorio Magno, In Evang., Lib. II, hom. XXXIV: PL 76, 1250.

[5] Cf. M.M. Waldstein, Glory of the Logos in the Flesh. Saint John Paul’s Theology of the Body, Sapientia Press, Ave Maria FL 2021, 600-605.

[6] Cf. J. Ratzinger, “Uno sguardo teologico sulla procreazione umana”, in La via della fede. Le ragioni dell’etica nell’epoca presente, Ares, Milano 1996, 133-151.

[7] Giovanni Paolo II, Enc. Evangelium vitae, n. 43.

[8] S. Grygiel, Dialogando con Giovanni Paolo II, Cantagalli, Siena 2013, 153.

[9] San Tommaso d’Aquino, In Jo. XVII, lect. III, n. 2214 (Marietti).

[10] A tal riguardo: C. Caffarra, Creati per amare, Cantagalli, Siena 2006, 271-278.

[11] Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, 2 febbraio 1994, n. 9.

[12] Cfr. Pio XII, Enc. Humani generis, 12 agosto 1950: AAS 42 (1950), 574.

[13] Cfr. R. Spaemann, Personen. Versuche über den Unterschied Zwischen “etwas” und “jemand”, Klett-Cotta, Stuttgart 1996.

[14] Cfr. I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi (1785), a cura di R. Assunto, Laterza, Bari 1980, 68.

[15] In merito: F. Botturi, “Generatività: fondamento dell’alleanza tra le generazioni”, in AA.VV., Di generazione in generazione. La trasmissione dell’umano nell’orizzonte della fede, a cura di G. Angelini, Glossa, Milano 2012, 11-28.

[16] Cf. L. Boltanski, La condition foetale. Une sociologie de l’engendrement et de l’avortement, Gallimard, Paris 2004.

[17] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II q. 10 a. 12, c. Cf. L. Melina, “La famiglia come uterus spiritualis. Fecondità teologica di una metafora tomista”, in AA.VV., San Tommaso, il matrimonio e la famiglia, a cura di S.Th. Bonino – G. Mazzotta, Urbaniana University Press, Roma 2019, 239-252.

[18] Cfr. C. Caffarra, L’amore insidiato, Cantagalli, Siena 2008, 224-231.

[19] Per una più ampia trattazione dell’argomento, in riferimento specifico al nesso tra l’economia e la famiglia, si veda: S. Kampowski – G. Gallazzi (a cura di), Affari, siete di famiglia? Famiglia e sviluppo sostenibile, Cantagalli, Siena 2013.

[20] Al riguardo: E. Feder Kittay, Love’s Labor. Essays on Women, Equality, and Dependency, Routledge, New York & London 1999;  Id., “Com-passione e azione”, in L. Melina – J.J. Pérez-Soba (a cura di), La soggettività morale del corpo (VS 48), Cantagalli, Siena 2012, 79-92.

[21] Cfr. E.C. Banfield, The Moral Basis of a Backward Society, The Free Press, Chicago 1958.

[22] Cf. P. Donati (a cura di), Famiglia e capitale sociale nella società italiana. VIII Rapporto CISF sulla famiglia in Italia, ed. San Paolo, Cinisello B. (MI) 2003.

[23] Cfr. F. Botturi, “Generatività”, cit., 28.

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Livio Melina

Livio Melina è Teologo Moralista. Già Ordinario di Teologia morale (dal 1996 al 2019) presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia a Roma, di cui fu Preside dal 2006 al 2016. Vi ha fondato e diretto l’Area Internazionale di Ricerca in Teologia morale. Membro ordinario della Pontificia Accademia di Teologia, è stato Direttore scientifico della rivista "Anthropotes" e visiting Professor a Washington DC e a Melbourne. Ha tenuto e tiene corsi e conferenze in varie Università internazionali.

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