“Adelante, Pedro, con juicio!” Presentazione del Diccionario de Sexo, Amor y Fecundidad

Livio Melina

Testo dell’intervento pronunciato a Madrid il 19 ottobre 2022, presentando il volume di J. Noriega, R. Écochard, I. Écochard, a cura di, Diccionario de sexo, amor y fecundidad, Didaskalos, Madrid 2022.

Il 13 maggio scorso, papa Francesco, parlando ai partecipanti ad un Convegno Internazionale di Teologia Morale, denunciò con toni vibranti l’atteggiamento che secondo lui oggi faceva più male alla Chiesa: quello del “tornare indietro”, causato sia dalla paura, sia dalla mancanza di genialità, sia dall’assenza di coraggio. E disse testualmente: «È vero che noi teologi, anche cristiani, dobbiamo tornare alle radici. Dalle radici prendiamo l’ispirazione, ma per andare avanti … Tornare indietro non è cristiano … Per favore, state attenti a questo tornare indietro, che è una tentazione attuale, anche per i teologi della teologia morale»

1. Andare avanti o tornare indietro?

Questa affermazione di papa Francesco è citata, anzi esibita come egida in un recentissimo libro edito dalla Pontificia Accademia per la Vita, a cura del suo Presidente, Mons. Vincenzo Paglia, col titolo “Etica teologica della vita. Scrittura, tradizione, sfide pratiche” (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2022). In tale volume si propone l’adozione di un modello teologico innovativo, che consisterebbe in un “cambio radicale di paradigma”, in forza del quale l’etica teologica si assume il compito ermeneutico di una reinterpretazione del valore obbligante delle norme morali insegnate in documenti magisteriali quali l’enciclica Humanae vitae di San Paolo VI, di Evangelium vitae di San Giovanni Paolo II e dell’Istruzione Donum vitae, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, con l’approvazione di quest’ultimo papa.

Il “Testo Base” presentato nel volume e molti dei commenti teologici pubblicati a suo sostegno, propongono come espressione del “progresso teologico” auspicato l’andare oltre l’osservanza letterale della norma (TB 172-173) proposta finora dal Magistero, che ha definito come atti “intrinsecamente cattivi” la contraccezione e la procreazione artificiale, anche omologa, che prescinde dall’atto coniugale[1]. In esplicita contraddizione con l’enciclica di San Giovanni Paolo II Veritatis splendor (cf. n. 78), gli autori di questo scritto affermano che non è possibile specificare moralmente un atto solo per il suo oggetto, ma che occorre considerare anche la singolarità delle circostanze e l’intenzione soggettiva di chi agisce e applicano questo principio non solo agli atti buoni per il loro oggetto, ma anche agli atti intrinsecamente cattivi (TB 126-130). In tale nuovo modello non si potrebbe dunque più considerare la contraccezione o la procreazione artificiale sostitutiva come atti sempre intrinsecamente cattivi, e quindi da evitarsi, ma si dovrebbe operare in coscienza un discernimento circostanziato. Le norme morali negative non rappresenterebbero più degli assoluti, ma solo un primo e lontano punto di riferimento per il giudizio soggettivo della coscienza. Un simile paradigma corrisponderebbe al “personalismo” auspicato dal Concilio Vaticano II, poiché valorizzerebbe il ruolo decisivo della coscienza rispetto alla norma, nel discernimento dell’agire. Coloro che rifiutassero questo nuovo paradigma per la morale e in particolare per la morale sessuale e della vita, sarebbero da qualificare come rigoristi e come pericolosi “indietristi” (ecco il neologismo coniato per definirli e per bollarli come pericolosi nemici della missione della Chiesa oggi): essi infatti vorrebbero andare indietro, anziché progredire con coraggio e creatività.

2. Il Dizionario sulla scia del magistero di Humanae vitae

Questa sera noi presentiamo un Dizionario su sesso, amore e fecondità, un’opera imponente di 1100 pagine, ideata e curata dai Professori José Noriega, René e Isabelle Ecochard, che propone 194 voci, avvalendosi della collaborazione di 157 autori, di provenienza internazionale e di riconosciuta competenza scientifica, teologica e pastorale. Pur essendo apparso nella prima edizione italiana nel 2019, il Dizionario è espressione e coronamento del lavoro di quasi quattro decenni svolto nell’ambito dell’Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, istituto che nacque il 13 maggio 1981 e che fu soppresso nel settembre del 2017 col Motu proprio Summa familiae cura.

Ora questo Dizionario, pubblicato finalmente anche in edizione spagnola e francese, mentre sono in preparazione le edizioni inglese e coreana, intende esplicitamente porsi sulla scia del magistero di Humanae vitae, che considera essere la risposta adeguata e profetica della Chiesa Cattolica al fenomeno epocale della “rivoluzione sessuale”, che sta pervadendo e destrutturando le nostre società[2]. A più di cinquant’anni dalla sua pubblicazione, i curatori del Dizionario, ritengono l’enciclica di San Paolo VI la pietra di confronto e di scontro con quella modernità, che pretende di offrire una risposta tecnica ai problemi umani della riproduzione e della sessualità, separando la dimensione unitiva da quella procreativa dell’atto sessuale. Se leggiamo la breve prefazione al volume, firmata dai suoi curatori, vedremo che fin dalle prime righe e con assoluta trasparenza, anzi con fierezza essi affermano la centralità dell’insegnamento di Humanae vitae per il loro progetto.

Nasce allora inevitabile la domanda: si tratta di un “tornare indietro” da parte di rigidi conservatori, che si oppongono al progresso tanto nella società che nella Chiesa? Ribadendo in termini inequivoci il valore obbligante della norma morale di Humanae vitae, anzi, erigendola a chiave di interpretazione del mistero della sessualità umana, gli Autori del Dizionario si contrappongono forse al progresso scientifico, all’evoluzione culturale dell’ultimo secolo ed anche agli sviluppi teologici, dottrinali e pastorali, maturati in questo decennio?

Una domanda così esplicita ci inquieta e ci turba, perché sembra contrapporre la fedeltà alle radici, che anche papa Francesco auspica, con l’apertura al futuro, con il dialogo col mondo contemporaneo e col coraggio del nuovo. Ci inquieta ancor più quando rischia di portare la contrapposizione all’interno della vita ecclesiale, nel rapporto non solo tra fedeli, tra teologi, ma anche tra pastori e con l’autorità.

3. Che significa progredire?

Per uscire da questa inquietudine dobbiamo cercare di capire quale sia il significato autentico e cristiano di “progresso”, quel significato che certamente anche papa Francesco auspica nella sua esortazione ai teologi moralisti. Permettetemi qualche rapidissima annotazione.

Il termine “progresso” trova la sua affermazione più entusiastica e la sua consacrazione filosofica nel pensiero illuminista, in particolare in Nicolas de Condorcet, che nel 1795 scrisse l’opera Esquisse d’un tableau historique des progrès de l’esprit humain[3], nel quale espose la sua visione circa l’ineluttabilità di un progresso lineare illimitato e inarrestabile dell’umanità verso il futuro. È la fede nel destino luminoso e progressivo dell’umanità ad opera della scienza, che porta luce dopo secoli di oscurità, di superstizione e di oppressione, e che applicando la tecnica alla vita umana, la migliora continuamente, risolvendo gradualmente tutti i problemi.

E tuttavia ben presto l’idea che tutto ciò che viene dopo sia per ciò stesso necessariamente migliore di quanto verificatosi prima, riceve non solo clamorose e drammatiche smentite storiche con le tragedie del XX secolo, ma anche acute critiche filosofiche. In una famosa conferenza del 1962, il pensatore tedesco Theodor W. Adorno, analizzando la categoria di progresso, ne denunciò l’acritica feticizzazione ideologica. Egli rilevò che quello di progresso è un concetto dialettico. Benché infatti progresso significhi liberazione dal mito e dalla natura, esso implica però anche un dominio violento dell’uomo sulla natura e una qualche giustificazione del potere sociale. Il progresso coincide quindi, per Adorno, con la cattiva coscienza, che oscura l’atto di violenza del principio di identità a spese del non-identico, che viene accusato di essere un reazionario da eliminare al fine di far avanzare il progresso. Non si tratta tuttavia per Adorno di negare qualsiasi progresso, ma piuttosto di offrire dei criteri di verifica, che ne impediscano l’abuso ideologico.

Per venire all’orizzonte del pensiero cristiano mi limito ad una considerazione, forse un po’ velata di ironia, di San Tommaso d’Aquino, quando commenta la proclamazione che Gesù fa di sé nel vangelo di Giovanni, dicendo “Io sono la via”. Osserva l’Aquinate: «È meglio zoppicare sulla via che camminare a forte andatura fuori della strada. Chi zoppica sulla strada, anche se avanza poco, si avvicina comunque al termine. Chi invece cammina fuori strada, quanto più velocemente corre, tanto più si allontana dalla méta»[4]. Dunque potremmo dire che quando la strada è sbagliata, ogni passo indietro ci avvicina alla mèta. Talvolta per andare vanti, occorre tornare indietro da strade sbagliate. Il vero progresso è verificato dall’approssimarsi alla mèta e non dal semplice “andare oltre”. E la via sulla quale misurare il progresso autentico è Gesù Cristo, via, verità e vita.

Giustamente dunque i curatori del Dizionario rivendicano il carattere “controculturale” dell’insegnamento di Humanae vitae: rifiutando la contraccezione, San Paolo VI disse un “no” ad un modo di vivere la sessualità, quello promosso dalla rivoluzione sessuale in corso, perché sapeva chiaramente qual era il “sì” alla sessualità, ossia la sua grandezza e bellezza. Quella era la via di Cristo, la via della pienezza umana. Il suo insegnamento, lungi dal rappresentare un “indietrismo” nostalgico, testimoniava la strada dell’autentico progresso.

4. Due criteri del vero progresso

E dunque, per poter valutare che cosa sia “progresso” e che cosa sia “tornare indietro” non basta riferirsi alle mode del costume o alla mentalità corrente, ma occorre avere dei criteri. Thomas S. Eliot, nei “Cori dalla Rocca” parlò del nostro tempo come di “un’età che avanza all’indietro, progressivamente”[5]. È che in una tale situazione, chi veramente avanza sarà accusato dagli altri di voler tornare indietro, di “indietrismo”. Quali sono dunque i criteri che ci permettono di verificare se ci troviamo di fronte ad un vero progresso o ad un andare fuori strada?

Credo che i criteri sono due: il primo è menzionato nell’introduzione al Dizionario dai curatori, quando chiedono: “la pillola ci ha reso davvero più felici?” “Che cosa ci rende veramente felici?”, cioè che cosa rende più pieni i rapporti tra uomo e donna, la loro vita sessuale? Il secondo è quello menzionato implicitamente da papa Francesco: la fedeltà alle proprie radici, che custodiscono la nostra identità nel processo di sviluppo della vita. Soffermiamoci a riflettere un po’ su ciascuno di questi due criteri, applicandoli alla materia di cui tratta il nostro Dizionario: il sesso.

Potremmo definire il primo criterio “antropologico”, ma non in senso primariamente teorico, bensì “esistenziale”. Paolo VI rivendicava questa dimensione all’insegnamento morale della Chiesa, la quale – sono le sue parole in Humanae vitae – “insegna una legge, che in realtà è quella di una vita umana restituita alla sua verità originaria” (n. 19), e che quindi permette la vera felicità. Non quella apparente del piacere immediato, ma quella vera e profonda dell’amore.

Una tale felicità nasce dalla corrispondenza di quanto si vive, seguendo la legge morale, con le esigenze profonde del cuore umano, che è plasmato in sintonia col disegno del Creatore. In altre parole, più classiche, si tratta della legge naturale, come ordine conveniente, che la ragione umana è in grado di percepire nei propri atti e nelle proprie inclinazioni. Con sorprendente ottimismo papa Montini arrivò ad affermare che «gli uomini del nostro tempo sono particolarmente in grado di affermare il carattere profondamente ragionevole e umano di questo fondamentale principio”, cioè che solo salvaguardando l’intima unità dei due “aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore e il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità» (n. 12). Separata intenzionalmente dalla fecondità, la sessualità finisce col ripiegarsi su se stessa, finisce in una ricerca egoistica del piacere. Così come, acutamente notava la filosofa inglese Elisabeth M. Anscombe l’intenzione propria all’atto contraccettivo, chiuso alla procreazione, falsifica la natura dell’atto come atto di donazione personale e così lo trasforma in un tipo di atto completamente diverso, fino a far perdere il senso della differenza uomo-donna. Per questo, quando si ammette la liceità della contraccezione, non si hanno più ragioni per opporsi ad altre pratiche sessuali diverse dall’unione coniugale, fino a legittimare l’omosessualità[6]. Agli inizi degli anni sessanta, Elisabeth Anscombe aveva colto il nesso tra legittimazione della contraccezione e legittimazione dell’omosessualità.

Lo stesso Paul Ricoeur aveva lanciato un grido di allarme sugli esiti imprevisti della “rivoluzione sessuale”, che suona per noi come una conferma sub contrario di quanto stiamo argomentando: «La soppressione delle proibizioni sessuali ha prodotto un effetto strano, che la generazione freudiana non aveva conosciuto: la perdita di valore del sesso per facilità… Quanto più perde di significato, la sessualità diventa dispotica, a titolo di compensazione per le frustrazioni provate in altri ambiti della vita… C’è un nesso segreto tra erotismo e assurdità. Quando niente ha più senso, non resta che il piacere istantaneo e i suoi artifici… Ecco allora l’ultima possibilità da esplorare: quella di separare il piacere non solo dalla sua funzione di procreazione (ciò che fa anche l’amore-tenerezza), ma dalla tenerezza stessa.»[7]

I risultati della rivoluzione sessuale e della disobbedienza di tanti vescovi, sacerdoti e coppie ad Humanae vitae erano in parte già previsti: crollo delle famiglie, mancanza di rispetto per le donne, costrizioni dei poteri pubblici (n. 17), mentre altre sono sotto i nostri occhi oggi: inverno demografico, epidemie di infezioni sessualmente trasmesse, crollo dei matrimoni e abbandono dei bambini[8]. Tutto questo ha un impatto profondamente negativo sul benessere delle persone, che noi vorremmo servire nella pastorale.

Veniamo ora al secondo criterio, che potremmo definire “teologico”: quello che esige la coerenza dello sviluppo con le proprie radici identitarie, cioè con la Tradizione della Chiesa. Ci imbattiamo qui con la questione del “cambio di paradigma” che per alcuni sarebbe necessario applicare in teologia morale, per superare i limiti della sua esposizione tradizionale e renderla adatta ad una pastorale per l’uomo contemporaneo. La formula venne lanciata dal Card. Walter Kasper, a proposito della discussione sui divorziati risposati, ad indicare che sia la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio che la norma morale restavano identiche, ma che doveva cambiare il modello di applicazione della norma alla vita concreta[9].

È noto il principio di base del progresso organico della dottrina, che fu formulato da San Vincenzo di Lerino, citato in merito e fatto proprio dal Concilio Vaticano I. La dottrina cattolica « progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età. È necessario però che resti sempre assolutamente intatto e inalterato il suo significato, senza aggiunte spurie e senza perdita di elementi essenziali»[10]: eodem dogmate, eodem sensu, eademque sententia, cioè: deve restare la stessa dottrina, lo stesso senso e la stessa affermazione.

E la questione del cambio di paradigma, senza che cambi la dottrina? San John Henry Newman ci offre un ulteriore criterio, nella sua opera sullo Sviluppo della Dottrina Cristiana: tra le sette note per verificare la continuità della dottrina, egli pone come primo criterio non solo la continuity of principles, ma anche e prima di tutto la preservation of the type, cioè la permanenza della forma interiore dell’idea[11]. La garanzia più sicura della legittimità degli sviluppi non è data infatti dal mero riferimento esteriore ai medesimi principi, ma più sostanzialmente dalla fedeltà interiore al loro significato. La perversione e la corruzione della dottrina possono verificarsi quando il modello della loro interpretazione ne stravolge il valore teorico e pratico. In altre parole, il paradigma di interpretazione e di applicazione dell’insegnamento morale non può cambiare il senso intimo di una dottrina morale.

I due criteri si incrociano e si verificano reciprocamente: la fedeltà al fondamento cristologico della dottrina si riflette in un’autentica pienezza umana di bellezza, di verità e di amore. Il Dizionario che presentiamo testimonia del grande progresso che è accaduto nella vita e nel pensiero di chi è stato fedele all’insegnamento esigente, ma vero di Humanae vitae. In questi cinquant’anni si è realizzata una grande avventura intellettuale e umana. Le voci proposte nel volume documentano come ciò sia avvenuto non solo nella ricerca scientifica e teologica, ma anche nella vita concreta di coppie e famiglie, e nella cura pastorale di vescovi e sacerdoti.

5. Una grande avventura intellettuale, umana e cristiana

Vorrei accennare ai quattro ambiti di questa avventura, che sono anche le grandi dimensioni presenti nel Dizionario, che offrono percorsi di lettura convergenti al suo interno. Innanzitutto nell’ambito dell’antropologia cristiana come non menzionare il singolare apporto della teologia del corpo di San Giovanni Paolo II, nelle sue Catechesi sull’amore umano nel piano divino, e della teologia dell’amore di papa Benedetto XVI? È la visione organica della corporeità, che scaturisce dalla Rivelazione, interpellata alla luce delle esperienze umane originarie. Il corpo umano, contrassegnato dalla differenza sessuale, è “sacramento della persona”, segno visibile della realtà invisibile, che ci costituisce come soggetti unici e irripetibili. Esso, lungi dal ridursi alla dimensione fisiologica colta dalle scienze empiriche, è permeato dalla soggettività È nel corpo che l’uomo scopre la sua originalità nel creato e la sua chiamata alla comunione nell’incontro col corpo personale della donna. Il sesso è dunque vocazione al dono di sé e alla comunione, aperta ad un’ulteriore comunicazione della vita; un mistero nuziale di differenza, unità personale e fecondità, in cui si riflette a livello creaturale il mistero dell’Amore Trinitario di Dio. Contro le riduzioni del puritanesimo e i corrispondenti pregiudizi anticristiani, la teologia del corpo permette di riscoprire il valore unico del corpo nel cristianesimo. Giustamente fu osservato: “con Giovanni Paolo II improvvisamente divenne bello essere cristiani”.

Nell’ambito della riflessione morale si è esplorato il nesso intimo della persona con l’azione, che non solo la esprime, ma anche la genera e la plasma nella sua identità libera. Si è così compresa la necessità di adottare la prospettiva dinamica del soggetto agente nel considerare gli atti che compie, superando lo sguardo che li coglie solo nella loro conformità esteriore alla legge. In piena fedeltà all’insegnamento della grande tradizione e alla dottrina di San Tommaso d’Aquino, la teologia morale, sulla scorta dell’enciclica Veritatis splendor, ha superato il paradigma riduttivo della casistica moderna, che contrapponeva legge e coscienza, oscillando tra le opposte scuole di rigoristi e lassisti. La legge appare così non più come un limite alla libertà, da superare con stratagemmi ed eccezioni, ma come l’espressione di una verità sul bene; e la coscienza poteva venire ridimensionata e integrata nella virtù della prudenza, riconoscendo che essa è preceduta e illuminata dall’amore. Il grande tema della morale è dunque quello della rigenerazione del soggetto cristiano nelle virtù: si riscopre così in particolare il significato autentico della castità, che non è repressione delle passioni e degli affetti, ma loro dominio e correzione, in vista di una integrazione armonica nella luce della verità dell’amore.

In terzo luogo gli studi medici sulla sessualità e sulla fecondità hanno visto realizzarsi un grande progresso nell’accompagnamento delle coppie disposi, che intendono vivere la loro responsabilità procreativa in conformità col disegno del Creatore e secondo l’insegnamento della Chiesa. Secondo recenti studi del Dipartimento di Salute Riproduttiva dell’Organizzazione Mondiale della Salute[12] i metodi naturali moderni di regolazione della natalità hanno raggiunto tassi di efficacia pari o superiori (il “metodo sintotermico a doppio controllo”) addirittura alla pillola contraccettiva e sicuramente al preservativo, senza ovviamente comportare gli effetti collaterali negativi dell’uso dei prodotti chimici, che operano ormai non solo come antiovulatori, ma anche come antinidatori, cioè come abortivi precoci. La scienza e l’esperienza maturati in più di cinquant’anni permette di offrire alle donne e alle coppie una base sicura per vivere la responsabilità etica della procreazione; cioè per corrispondere alla vocazione della paternità e maternità, cambiando le proprie abitudini sessuali sia per distanziare le nascite per giusti e seri motivi, sia per cercare una desiderata e difficile gravidanza. La conoscenza, l’educazione e la crescita nella virtù permettono di vivere la sessualità coniugale non solo più serenamente, ma trasformandola in una vera celebrazione dell’amore personale e cristiano.

L’impegno della pastorale, poi, secondo le prospettive del Dizionario, non dovrebbe configurarsi come sforzo per risolvere problemi o come elaborazione di programmi efficaci, ma come accompagnamento delle persone, delle coppie e delle famiglie nella loro vocazione all’amore. La consultazione di uno strumento così ricco come il presente Dizionario, permette di fare tesoro non solo di una solida teologia, di un’aggiornata conoscenza scientifica, psicologica, sociologica e medica, ma anche dell’esperienza sul campo della pastorale familiare e della consulenza nell’ambito dei metodi naturali. Le coppie e le famiglie desiderano vivere in pienezza la loro sessualità, la loro maternità e paternità. Esse non hanno bisogno di un pastore che parta dal principio che l’ “ideale” non è per loro, che approvi la contraccezione, minimizzi l’aborto e consideri il divorzio come inevitabile, scusando tutto con la presunta fragilità delle persone. È tempo per i pastori di abbandonare i paradigmi superati della rivoluzione sessuale, e di evitare di ripetere stantii pregiudizi contro i metodi naturali e contro l’insegnamento di San Paolo VI e di San Giovanni Paolo II.

Conclusione

Adelante, Pedro, con juicio, si puedes!” è l’espressione in spagnolo, diventata proverbiale, che Alessandro Manzoni, nel suo capolavoro I Promessi Sposi, mette in bocca al Gran Cancelliere spagnolo di Milano Antonio Ferrer, che si rivolge al cocchiere mentre la sua carrozza avanza circondata dal popolo in tumulto per la carestia, sopraggiunta alla peste.

Possiamo ora concludere, rispondendo con grande sicurezza alle inquietanti domande con cui ho voluto iniziare. Il Dizionario curato da José Noriega e da René e Isabelle Écochard è tutt’altro che espressione dell’“indietrismo” da cui papa Francesco mette in guardia. È anzi un prezioso strumento intellettuale, scientifico, teologico, morale e pastorale per “andare avanti” (adelante), ma nella strada dell’autentico progresso (con juicio), quello che considera il sesso nella vita umana e cristiana né come un pericolo da cui guardarsi con sospetto, né come un divertimento privo di responsabilità, ma piuttosto come una dimensione costitutiva della pienezza umana, di quella vocazione all’amore, che è sempre intimamente legata al dono di sé nella comunione e alla fecondità.

 

  1. Per una critica puntuale del testo, si veda: G.L. Müller and S. Kampowski, “Going Beyond the Letter of the Law. The Pontifical Academy for Life Challenges the Teachings of Humanae Vitae and Donum Vitae, in First Things, August 27 2022.

  2. Cf. G. Kuby, La rivoluzione sessuale globale. Distruzione della libertà nel nome della libertà, Sugarco Ed., Milano 2017.

  3. Cf. A. Cento, Condorcet e l’idea di progresso, Parenti, Firenze 1956.

  4. San Tommaso d’Aquino, Commento al Vangelo di San Giovanni /3, XIV, lect. II, III, n. 1870, a cura di T.S. Centi, Città Nuova, Roma 1992, 96.

  5. T.S. Eliot, Choruses from “The Rock”, in Opere, Bompiani, Milano 1971, 424-425.

  6. G.E.M. Anscombe, Una profezia per il nostro tempo: ricordare la sapienza di Humanae vitae, a cura di S. Kampowski, Cantagalli, Siena 2018, 86-88.

  7. P. Ricoeur, “Sexualité: la merveille, l’errance, l’énigme”, in Histoire et vérité , Seuil, Paris 1964, 205-207.

  8. Francesco, Es. ap. Amoris laetitia, 51.

  9. W. Kasper, „Amoris laetitia: Bruch oder Aufbruch. Eine Nachlese“, in Stimmen der Zeit 234/11 (2016), 723-732.

  10. Primo Commonitorio, cap.23; PL 50,667-668. Concilio Vaticano I, Cost. Dogm. Dei Filius, 24 apr. 1860: DH 3020.

  11. J.H. Newman, An Essay on Development of Christian Doctrine, Notre Dame University Press, Notre Dame 1989 (trad. it.: Lo sviluppo della dottrina cristiana, Jaca Book, Milano 2003, 189-195.

  12. World Health Organization Department of Reproductive Health and Research (WHO/RHR) and John Hopkins Bloomberg School of Public Health / Center for Communication Programs (CCP), Knowledge for Health Project. Family Planning: A Global Handbook for Providers (2018 update), Baltimore and Geneva: CCP and WHO, 2018.

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Livio Melina

Livio Melina è Teologo Moralista. Già Ordinario di Teologia morale (dal 1996 al 2019) presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia a Roma, di cui fu Preside dal 2006 al 2016. Vi ha fondato e diretto l’Area Internazionale di Ricerca in Teologia morale. Membro ordinario della Pontificia Accademia di Teologia, è stato Direttore scientifico della rivista "Anthropotes" e visiting Professor a Washington DC e a Melbourne. Ha tenuto e tiene corsi e conferenze in varie Università internazionali.

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