Il pensiero di Stanisław Grygiel (1934-2023): la via della bellezza per la rinascita dell’uomo
Stephan Kampowski
Il testo qui riprodotto si basa su una relazione scritta in occasione del conferimento
del Dottorato honoris causa al Prof. Stanisław Grygiel dall’Università Cardinal Stefan
Wyszyński di Varsavia il 30 giugno 2021.
L’uomo: la grande domanda
“Quaestio mihi factus sum – Sono diventato una domanda a me stesso”, scrive sant’Agostino nelle sue Confessioni[1]. Non è una domanda qualsiasi, ma una domanda esistenziale, una domanda che non solo si ha, ma che si diventa. Questa magna quaestio, che chiede: “Da dove vengo e dove vado?” permea il pensiero del filosofo Stanisław Grygiel, che si è addormentato nel Signore il 20 febbraio 2023. È un pensiero aperto, che cerca, che si interroga e diventa un tutt’uno con la sua domanda[2]. Per lui, essere filosofo, essere amico della verità e della saggezza, significava acquisire un atteggiamento reverenziale di fronte alla realtà, osservandone e contemplandone la bellezza. Per Grygiel, infatti, la bellezza era il punto di partenza del nostro approccio alla realtà e la guida costante del nostro cammino: “Nasciamo nel bello, grazie al bello rinasciamo. Il bello costituisce non solo l’inizio del cammino ma è esso stesso cammino che conduce all’amore del bene e alla conoscenza della verità”[3].
In quanto bella, la realtà è simbolica. Ogni cosa è un simbolo; è più di quanto non lo sia, rimandando alla trascendenza[4]. Non si può catturare la realtà, cercando di imprigionarla in concetti, perché è sempre più grande. Il nostro parlare della realtà, e in particolare dell’essere umano, sarà sempre inadeguato. Per rendere almeno minimamente giustizia alla realtà dell’esistenza umana, dobbiamo andare oltre i concetti e rivolgerci a miti, simboli, poesie e narrazioni[5]. L’opera che Grygiel ci ha lasciato testimonia la verità del detto di Hölderlin: “Poeticamente abita l’uomo”[6]. L’essere umano è un’opera di poesia e di arte[7]. Data la loro bellezza, gli esseri umani sempre rimandano a una realtà che li trascende e che può essere accostata poeticamente solo attraverso miti e narrazioni. Per avvicinarsi a questa realtà, bisogna porsi il giusto tipo di domande, domande che non mirano a dominare, ma domande che si vivono, che si abitano, che alla fine diventano noi stessi[8].
La magna quaestio, che noi esseri umani diventiamo, nasce quando ci confrontiamo con l’inizio e la fine, con la nascita e la morte[9]. L’amico della verità e della saggezza si ricorderà di questi due principi. È necessario ricordare il passato e, paradossalmente, anche il futuro[10]. È essenziale ricordare la nascita. L’essere umano è qualcuno che nasce, un naturus[11]. E dobbiamo ricordare la morte. Affrontando la morte, la persona umana diventa una domanda per se stessa. Gli esseri umani sono esseri mortali. La nascita e la morte sono i due principi della grande questione antropologica che ci rimandano a una realtà che va oltre noi stessi. Ci indirizzano verso la trascendenza, così che la domanda sull’essere umano è sempre anche una domanda su Dio[12].
La razionalità filosofica
L’opera di Grygiel è caratterizzata dal contrasto tra due tipi di razionalità. Da un canto, c’è il filosofare autentico, che non è privilegio dei filosofi professionisti, ma piuttosto un’attività profondamente umana. Ci si impegna in essa quando, di fronte alla nascita e alla morte, si diventa una domanda per se stessi. Questa razionalità profondamente filosofica e, al tempo stesso, autenticamente umana, è sempre inserita in un contesto comunionale[13]. La verità che ne è l’oggetto non può mai essere dominata. È sempre più grande di noi e ci rimanda all’Altro. Grygiel proponeva di andare oltre la definizione classica di verità come adaequatio intellectus cum re e di comprenderla invece come adaequatio personae cum Persona[14]. La questione della verità ha a che fare con la questione della persona, una questione che non va intesa in astratto, ma che riguarda la presenza concreta dell’altro. Così, Grygiel cita sant’Agostino: “Alla domanda: Quid sit veritas? sant’Agostino risponde: Vir qui ad-est. Per lui era evidente che la domanda sulla verità è domanda sulla presenza della persona. Chi cerca la verità tende alla Persona, il cui nome è Libertà, Amore e Conoscenza”[15].
Per Grygiel, chi si interroga sulla verità è spinto dall’amore e parte dalla bellezza. La bellezza, però, è sempre difficile e non deve mai essere ridotta alla mera estetica. La bellezza non è un semplice ornamento che si aggiunge alla realtà come una semplice cosa opzionale, che è bene avere ma di cui si potrebbe anche fare a meno[16]. La bellezza è piuttosto uno dei trascendentali e quindi convertibile con il buono e il vero[17]. Il bello è lo splendore del vero e attira proprio perché è buono.
Il pensiero filosofico, secondo Grygiel, contempla questioni come quelle dell’amore, del dono, della generazione, della paternità, della maternità, della figliolanza e del significato della differenza ontologica e della differenza sessuale. E riflette anche sulla cultura e sull’arte, sul lavoro e sulla tecnica, sulla politica e sulla patria. L’essere umano è visto come naturus, come nato, generato, proveniente dal dono e destinato al dono. In questo contesto, quindi, la libertà non sarà semplicemente la facoltà di poter fare ciò che si vuole. Essere veramente liberi significa invece saper accogliere il dono[18] – il dono che siamo, il dono della nascita e della morte, della nostra esistenza, e dell’esistenza di tutta la creazione che parla di un Amore primordiale e trascendente. Tutto ciò che è testimonia all’“Amore che muove il sole e le altre stelle”, di cui parla Dante nella sua Divina commedia[19]. Tutto l’essere creato è simbolo dell’amore trascendente. Poeticamente abita l’uomo.
La ragione calcolante
Dall’altro canto, c’è la ragione calcolante. Evita di avere a che fare con la nascita e la morte, che non trovano posto fra le sue categorie. Il calcolo della ragione si limita a ciò che è misurabile e che può essere prodotto[20]. Il suo strumento è il metodo scientifico che forma ipotesi che poi sottopone ad esperimenti. A seconda dei risultati, le ipotesi vengono modificate o addirittura scartate. Questa razionalità non pone domande sul significato, non si apre alla trascendenza, ma cerca il dominio. Per la ragione scientifica, le cose che incontriamo nella realtà non parlano dell’Altro; non rimandano oltre; non sono simboli di qualcosa di più grande; non invitano alla comunione ma richiedono il dominio. Gli esseri umani riducono tutto a se stessi, cercando di controllare tutte le cose attraverso concetti, esperimenti e formule.
Applicata all’esistenza umana, la ragione calcolante provoca disastri. L’inafferrabile mistero della generazione e della nascita, che, secondo Hölderlin, ha una forza superiore a tutti i meriti umani – “il più lo può la nascita”[21] – non si presta al metodo scientifico. Esso elude il calcolo e il dominio. Deve, quindi, essere sostituito dalla produzione. Per questa mentalità, la persona umana non è più un naturus, ma un producturus, un essere che non nasce ma viene prodotto[22].
Una figura rappresentativa, che spesso ritorna negli scritti di Grygiel, è lo scienziato Wagner del Faust di Goethe. Wagner riesce ad aggirare lo scandalo della generazione – lo scandalo, cioè, di un mistero che parla di un effetto più grande della sua causa e di un dono la cui logica trascende tutto ciò che la ragione calcolante possa mai sperare di cogliere. Wagner riesce a fabbricare un essere umano, l’omuncolo[23]. Un essere umano, finalmente, che non è più ad imago Dei ma ad imago hominis, fatto, non generato, prodotto secondo i progetti di un tecnico umano. Quello che ai tempi di Goethe era ancora una distopia, oggi è diventato una triste realtà con le tecniche di riproduzione artificiale. Se la generazione viene abolita, alcune delle esperienze umane più profonde, quelle di essere padre o madre, figlio o figlia, perdono il loro significato[24].
Così come l’omuncolo di Wagner è protetto dall’impatto della realtà attraverso il vetro della provetta in cui è stato prodotto, così l’essere umano moderno cerca di proteggersi dall’impatto di ogni realtà che supera quello che è calcolabile e strettamente controllabile: la morte e la nascita, il dono, la paternità, la maternità, la figliolanza, e ogni realtà che parla della trascendenza. Si limita a ciò che è misurabile. Così, il corpo umano non è più un segno; non parla di un dono originale e di una vocazione all’amore, ma di una semplice fatticità[25]. Una cosa è ciò che è e non un’altra. Anche la differenza sessuale è allora solo una mera fatticità. Non parla più. Non è più un invito alla comunione, un segno della nostra chiamata all’amore, un simbolo della differenza ontologica che esiste tra la creatura e il suo Creatore[26]. L’uomo moderno può benissimo occuparsi della diversità. Tuttavia, si trova incapace di pensare la differenza, sia essa sessuale o ontologica. Ma chi è incapace di concepire la differenza, sarà anche incapace di comprendere il dono che, per poter essere, richiede l’alterità. La ragione diventa allora sterile perché solo il dono crea e genera[27].
Come già detto, la ragione calcolante si avvale del metodo scientifico, con le sue ipotesi e i suoi esperimenti. Grygiel sempre sottolineava che questo metodo è distruttivo se applicato alle realtà che contano di più nella vita[28]. L’amicizia, il matrimonio, la famiglia, la Chiesa e la patria non possono sopportare un trattamento ipotetico e sperimentale. Per il loro stesso essere, questi richiedono un “sì” fedele. Un’amicizia ipotetica non merita il nome di amicizia più di quanto un matrimonio sperimentale non possa essere definito matrimonio.
L’Europa
Tra quelle che furono le preoccupazioni costanti di Grygiel si trovano anche le sue riflessioni sull’Europa. Per lui l’Europa non è un continente, ma un evento: un evento spirituale[29] che ha il suo inizio nelle tre città di Roma, Atene e Gerusalemme[30]. La combinazione di giurisprudenza romana, filosofia greca e fede cristiana definisce l’identità europea. Grygiel avvertiva che si era cercato di unire l’Europa attraverso l’economia e le politiche monetarie. Queste, tuttavia, entrano nell’ambito della fabbricazione e della produzione propria della razionalità calcolante. I politici si intendono come amministratori che danno priorità all’attività economica, alla produzione e all’efficacia, trascurando così le esigenze di ciò che è vero, buono e bello. Più che sull’economia, l’unità europea dovrebbe essere basata sulla cultura[31]. Se l’Europa vuole rinascere, deve ritrovare le sue fondamenta nelle città di Roma, Atene e Gerusalemme.
Karol Wojtyła / san Giovanni Paolo II
Come studente, discepolo e amico di Karol Wojtyła / Giovanni Paolo II, Grygiel fu un autorevole interprete del santo Papa. Particolare menzione meritano i volumi Dialogando con Giovanni Paolo II del 2013 e Una voce nel deserto del 1981[32]. In essi Grygiel sottolinea che per Wojtyła l’etica e l’antropologia sono strettamente connesse. La sua etica è “una antropologia metafisicamente vissuta, piuttosto che non una dottrina morale”[33]. Wojtyła si stupisce continuamente “della bellezza dell’uomo”, cercandone la sorgente[34]. Ha descritto la sua antropologia come “antropologia adeguata” proprio perché “mirava alla totalità della verità dell’uomo, totalità che si trova in Dio”[35].
La via della bellezza
Nelle sue opere, Grygiel toccava delle questioni nevralgiche del nostro tempo. Nel dibattito odierno, i punti fondamentali di disaccordo spesso si riducono alla domanda: Di quale ragione stiamo parlando? E, dato che l’oggetto della ragione è la verità e che la questione della verità è esistenzialmente legata a quella della libertà, la domanda diventa anche la domanda: Di quale verità e di quale libertà stiamo parlando? Avendo identificato l’estensione della ragione calcolante a tutti gli aspetti della realtà come uno dei problemi fondamentali del nostro tempo, Grygiel, nella sua vita come nei suoi scritti ci segnalava anche una valida alternativa. Se da un canto c’è la minaccia di una ragione sterile che fa appassire la società e il bene comune, dall’altro canto c’è ancora una speranza. Nel suo riferimento all’atteggiamento autenticamente filosofico e, allo stesso tempo, fondamentalmente umano, che è sempre anche poetico, simbolico e religioso, Grygiel ci indicava un modo per rinnovare gli esseri umani e le loro società: la via della bellezza per la rinascita dell’uomo.
[1] AGOSTINO, Confessioni, X, 33.
[2] S. GRYGIEL, Dialogando con Giovanni Paolo II, Cantagalli, Siena 2013, 87: “Gli uomini staccati dalla realtà e immersi nei calcoli non vivono della domanda fondamentale sul Principio e sulla Fine. Questa domanda infatti non è da calcolare. L’uomo la diventa, leggendola nel proprio essere che passa”.
[3] GRYGIEL, Dialogando, 67.
[4] S. GRYGIEL, “Dalla solitudine al dono. La catechesi di Giovanni Paolo II sul matrimonio”, in Il Nuovo Areopago 25 (2006), 29: “Ogni essere ci stupisce nella misura in cui è simbolico, vale a dire nella misura in cui, parlando di sé, indica qualcosa fuori di sé. In altre parole, ogni essere ci stupisce nella misura in cui indica e rimanda ad una trascendenza.” Questo saggio rielabora S. GRYGIEL, La voce nel deserto. Post-scriptum all’insegnamento di Giovanni Paolo II, Cseo Biblioteca, Bologna 1981.
[5] S. GRYGIEL, “Persona, matrimonio, famiglia, patria. Eventi della libertà”, in L. MELINA – S. GRYGIEL, a cura di, Amare l’amore umano. L’eredità di Giovanni Paolo II sul Matrimonio e la famiglia, Cantagalli, Siena 2007, 107: “Il Principio e la Fine dell’uomo, del matrimonio, della famiglia, della nazione e della Chiesa possono essere appena sfiorati dal canto poetico, cioè dai simboli e dai miti. Nei simboli e nei miti entra la magna quaestio: ‘Da dove vengo e dove vado?’, che l’uomo diventa nell’esperienza sorgiva del proprio essere”.
[6] S. GRYGIEL, Dolce guida e cara, Cantagalli, Siena 2008, 136: “È in questo senso che io intendo le parole di F. Hölderlin: ‘Voll Verdienst, doch dichterisch wohnet der Mensch auf dieser Erde’ … Infatti, facendo tante cose, l’uomo è voll Verdienst, pieno di meriti. Però doch, in fondo egli abita poeticamente, dichterisch, su questa terra, solo mirando, nella froneticainquietudine, all’Invisibile e Ineffabile da cui proviene tutto e verso cui il suo essere è orientato e profeticamente proteso”.
[7] GRYGIEL, Dialogando, 80: “Non tutti gli uomini sono chiamati a dipingere quadri, a scrivere poesie o a comporre musica. ‘Secondo l’espressione della Genesi […] ad ogni uomo è affidato il compito di essere artefice della propria vita: in un certo senso egli deve farne un’opera d’arte, un capolavoro’”. La citazione è presa da GIOVANNI PAOLO II, Lettera agli artisti, 4 aprile 1999.
[8] S. GRYGIEL, Extra communionem personarum nulla philosophia, LUP, Roma 2002, 43: “La filosofia rimane viva fintanto che non divorzi dalla poesia, o meglio, dal poieinpossibile solo per chi non cessa di salire sui pendii dell’essere verso l’ideale. […] L’uomo parla poeticamente, vale a dire simbolicamente, nella misura in cui egli stesso diventa quella realtà della quale è simbolo e alla quale il suo essere è orientato”.
[9] GRYGIEL, Extra communionem, 14: “La liberazione dell’uomo dalla miseria dei mondi virtuali inizia nella domanda: ‘Da dove vengo e dove vado?’ che l’uomo diventa davanti alla morte”.
[10] GRYGIEL, Extra communionem, 36: “La Memoria paradossalmente è Memoria del Passato e del Futuro. La Memoria, risvegliata nell’uomo, spera che il percorso attraverso l’avvenimento della verità e del bene nel tempo possa essere compiuto dall’unità del Principio e della Fine”.
[11] GRYGIEL, Extra communionem, 12: “Sia la domanda che la speranza mirano al Futuro, cioè alle realtà che nel tempo continueranno a nascere nell’uomo. Perciò egli sarà sempre un nascituro, in latino naturus”.
[12] GRYGIEL, “Persona, matrimonio, famiglia, patria”, 96: “La domanda sull’uomo è anche domanda su Dio”.
[13] GRYGIEL, Extra communionem, 31: “La filosofia non sorge che nella comunione delle persone. […] La domanda stessa ha carattere comunionale. Per sua natura essa nega il monologo”.
[14] GRYGIEL, Extra communionem, 38: “Oserei dire che la verità, alla quale mira la filosofia, è adaequatio personae cum Persona più che adaequatio intellectus cum re. La filosofia in cui l’uomo, cercando la verità, dialoga con la Persona si svolge nella vita spirituale. La Persona è presente ad-venendo”.
[15] GRYGIEL, Extra communionem, 38.
[16] GRYGIEL, Dolce guida, 136: “Nella società in cui la poesia dell’essere è stata spenta, il pensiero staccato dal verume l’amore separato dal bonumvengono sostituiti dal calcolo e dal ‘comodo’ che usano il bello come una pura decorazione”.
[17] GRYGIEL, Extra communionem, 55: “Il pensare filosofico, compiendosi dentro l’oggetto della metafisica, vale a dire nel fieri dell’ense dei suoi trascendentali verum, pulchrum che si costituiscono nel dialogo della persona con la Persona, sarà sempre analogico, diversamente dai calcoli della ragione”.
[18] GRYGIEL, Dolce guida, 205: “La nostra libertà consiste non tanto nella possibilità di scelta, quanto nella capacità di ricevere ciò che ci è donato e donarlo a nostra volta”.
[19] S. GRYGIEL, “‘The Love that Moves the Sun and the Other Stars’: Light and Love”, in L. MELINA – C.A. ANDERSON, The Way of Love. Reflections on Pope Benedict XVI’s Encyclical Deus Caritas Est, Ignatius Press, San Francisco 2006, 46-55. Cfr. DANTE, Paradiso, XXXIII, v. 145.
[20] GRYGIEL, Extra communionem, 10: “Vivendo come se fosse immortale e, quindi, non sapendo né domandare né ricevere, riesce ad affidarsi soltanto ai prodotti del suo fare”.
[21] GRYGIEL, Dolce guida, 196: “Hölderlin scrive ammirabilmente del mistero del Principio: ‘Enigma è il puro scaturire. Anche / Il canto può appena svelarlo; / Come cominci, tale resterai, / Per quanto agisca la costrizione / E il rigore, il più / Lo può la nascita / E il raggio di luce / Che al neonato va incontro’”. (L’estratto di Hölderlin è tratto dal poema Il Reno).
[22] S. GRYGIEL, “Casa paterna”, in Anthropotes35 (2019), 213: “Nella società che non nasce nella domanda sul padre e sul figlio la domanda sulla persona diventa incomprensibile. […] L’uomo che si è arrestato sul cammino non comprende né la nascita né la morte. Guarda ogni cosa, incluso se stesso, come un oggetto prodotto dal proprio fare. Per lui nessuno è naturus, ognuno è producturus”.
[23] GRYGIEL, Dialogando, 75: “La società affascinata dalla possibilità di produrre i cosiddetti homunculiin provetta per mano degli scienziati che seguono le tracce di Wagner del Faust di Goethe guarda l’uomo non come all’opera d’arte ma come a uno dei tanti prodotti”.
[24] GRYGIEL, Dolce guida, 162: “Nulla è più tragico per l’uomo che la perdita del senso della paternità e della figliolanza. Con esso l’uomo smarrisce il senso della libertà e invece di esistere ‘sotto la grazia cade sotto la legge’ (Rm6, 14). La paternità, la figliolanza e la loro giustizia intrinseca si collocano al di là della legge, pur essendo ‘testimoniate’ da essa (cfr. Rm3, 21)”.
[25] GRYGIEL, “Dalla solitudine al dono”, 33: “Colui che non sa accettarlo come dono, si lascia trattenere dalla fatticità del corpo. Esso cessa di essere per lui invocazione, non indica e non rimanda a nulla. Perde il proprio senso. Cessa di essere dono e diventa merce. Chi non conosce il dono, scambia la propria fatticità con la fatticità dell’altro: do ut des. Il mondo del caos è il mondo della prostituzione. La prostituzione deriva dalla laicizzazione del corpo umano, ossia dalla sua riduzione alla fatticità”.
[26] GRYGIEL, “Casa paterna”, 212: “La negazione della differenza ontologica determina la negazione della differenza sessuale”.
[27] GRYGIEL, “Dalla solitudine al dono”, 30: “L’uomo che è dono, crea. Tale è la natura dell’amore e della libertà”.
[28] GRYGIEL, “Persona, matrimonio, famiglia, patria”, 106: “La domanda su chi io stesso sia, posta al di fuori della differenza sessuale, al di fuori dell’unirsi del conoscente con il conosciuto, riduce l’amicizia, il matrimonio, la famiglia, e anche la Chiesa, a delle ipotesi il cui funzionamento sarà da sottoporre alla verifica del facere sperimentale. Ogni conoscenza che non è unione è infatti ipotetica e ad experimentum, il che significa che prima o poi verrà modificata, oppure addirittura scartata”.
[29] GRYGIEL, Dialogando, 173: “L’Europa non è tanto un continente quanto piuttosto un evento. Evento spirituale, e, quindi, culturale, che avviene in un ben determinato luogo e in un ben determinato tempo ma che non si identifica con essi, poiché avviene negli uomini che sono ‘qua’, ma salutano da lontano ciò che si trova ‘là’ ed è verso questo ‘là’ che essi camminano (cfr. Eb11,13)”.
[30] GRYGIEL, “Casa paterna”, 223: “Per poter essere ciò che è, vale a dire per poter essere un evento spirituale, l’Europa deve ritornare al lavoro sul patrimonio di Gerusalemme, Atene e Roma. Deve rinascere.”
[31] GRYGIEL, Dialogando, capitolo V: “Nazione e Stato”, 159-195. È questo il senso dell’intero capitolo. Ma si veda in particolare pagina 171, dove viene riferita in modo positivo un’affermazione di Jean Monnet il quale “disse che se avesse potuto costruire di nuovo l’Europa Comune avrebbe cominciato non dalla Comunità del Carbone e dell’acciaio ma dalla Comunità della Cultura”.
[32] Cfr. le note 2 e 4.
[33] S. GRYGIEL, “Un sentiero verso la verità dell’uomo”, in Anthropotes 21 (2005), 183.
[34] GRYGIEL, “Un sentiero”, 183.
[35] GRYGIEL, “Un sentiero”, 183.
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