Il discernimento nella vita coniugale: trovare le vie per raggiungere la bellezza dell’amore

Livio Melina

Discorso in occasione della consegna del premio “San Giovanni Paolo II per la famiglia, l’amore e la vita” conferito a Mons. Melina per il suo libro Le discernement dans la vie conjugale, Téqui editeur 2024, a Parigi il 22 maggio 2024

Nella sua lettera alle famiglie del 1994, San Giovanni Paolo II affermò che “la famiglia contemporanea, così come quella di sempre, va in cerca del bell’amore”. Un amore che non sia bello, ossia ridotto a solo soddisfacimento della concupiscenza o ad un reciproco uso dell’uomo e della donna, rende le persone schiave delle loro debolezze. Per questo la ricerca della bellezza rende l’amore esigente, per corrispondere alla logica del dono. Il dono sincero di sé costituisce l’interiore verità della famiglia, ciò che la rende comunione di persone, a immagine e somiglianza del Dio Trinitario. Ma per questo occorre una certa “disciplina interiore del dono”, conforme alle sue esigenze. Occorre saper discernere ciò che contribuisce alla verità e bellezza dell’amore e ciò che invece lo deturpa nell’utilitarismo o nell’edonismo.

Il termine discernimento è molto caro a papa Francesco, che lo ha usato nei suoi documenti più importanti, a partire da Amoris laetitia, e vi ha dedicato anche un ciclo di Catechesi del mercoledì. Esso è al servizio di una sollecitudine pastorale che sappia guardare con misericordia soprattutto ai più fragili, ai più deboli, ai peccatori, per ascoltare, perdonare, accompagnare, attendere e integrare. Come onorare questo slancio di misericordia e come interpretarlo nella teologia morale e nella prassi pastorale? Nel mio libro ho cercato di rispondere proprio a questa domanda.

E subito ho dovuto confrontarmi con una tendenza molto forte tra i moralisti che propone di intendere il discernimento come un cambiamento di paradigma, che senza voler direttamente e immediatamente cambiare la dottrina ne muta però l’applicazione alle circostanze concrete della vita. Ciò significa sostanzialmente due cose: in primo luogo introdurre un linguaggio nuovo nell’etica, che sostituisca i termini tradizionali. Il “peccato” diventa “imperfezione” o “fragilità”, la parola “adulterio” non può essere utilizzata perché offensiva, così come quella di “coppie irregolari”. La norma morale, anche quella proibitiva, diventa solo un “ideale” a cui tendere gradualmente, e le circostanze attenuanti la responsabilità sono intese come criterio che giustifica eccezioni. In secondo luogo si introduce un’epistemologia storicistica ed esistenzialistica che relativizza la dottrina e ne mette in discussione le formule dogmatiche: niente potrebbe essere considerato vero o falso una volta per tutte, ma andrebbe adattato alle situazioni esistenziali.

Così, mediante la prassi, si attiva un processo di mutamento semantico che alla fine incide anche sulla dottrina. Questa forma di discernimento, riducendo le norme a ideali e applicando il criterio del “bene possibile”, finisce col legittimare ciò che la tradizione della Chiesa aveva considerato sempre un peccato. Il bene possibile diventa il secondo nome del male. Si tratta di una nuova forma di pelagianesimo del minimo, che adatta i comandamenti al calcolo delle proprie forze.

San Giovanni Paolo II, nell’enciclica Veritatis splendor ha richiamato che le concrete possibilità dell’uomo si trovano nel mistero della redenzione e che ciò che Dio comanda non è mai impossibile. Egli infatti, come dice sant’Agostino, “nel comandare ti esorta a fare tutto ciò che puoi e a chiedere ciò che non puoi e ti aiuta perché tu possa”.

La sfida pastorale di papa Francesco, per intendere che cosa significhi discernimento, deve dunque prendere un’altra via, diversa da quella di una casuistica delle eccezioni alla legge. La strada che ho seguito è quella molto più esigente di una ricostruzione, o meglio di una rigenerazione del soggetto morale cristiano mediante la grazia e le virtù. In questa luce il discernimento non è una tecnica di applicazione delle norme che permette eccezioni, ma un atto della virtù della prudenza, che cerca sempre ciò che è meglio per far crescere e realizzare l’amore coniugale, rifiutando quanto è in sé stesso contrario alla logica del dono. Ciò che la prudenza offre è il riferimento ad una pienezza come fine, poiché non si accontenta del minimo, ma intende l’esperienza morale come un cammino che rende l’essere umano sempre più umano, che fa risplendere nella vita della coppia e della famiglia la bellezza del dono di sé. Il soggetto morale cristiano rinasce infatti dalla sinergia tra la libertà umana ferita, ma sempre reale, e la grazia che guarisce ed eleva le sue capacità mediante le virtù morali.

Si tratta innanzitutto di collocarsi nella prospettiva del soggetto agente, che mediante le azioni che compie cambia non solo il mondo esterno, ma anche sé stesso e può così diventare migliore. Le norme morali allora non saranno più avvertite come imposizioni esteriori, ma come verità sul bene nel cammino che porta alla felicità. Il nucleo essenziale dell’insegnamento di Veritatis splendor, cioè l’esistenza di assoluti morali che proibiscono senza eccezioni azioni intrinsecamente cattive, non è solo espressione di continuità con il magistero costante della Chiesa, ma anche la condizione per realizzare davvero la preoccupazione pedagogica di papa Francesco, per un accompagnamento pastorale di chi è fragile o peccatore. Il card. Jean-Marie Lustigier scrisse in proposito che la non gradualità della legge è la condizione che rende possibile la legge della gradualità, come pedagogia di conversione e di crescita.

L’acquisizione delle virtù realizza poi nel soggetto quella connaturalità col bene che consente il discernimento di ciò che permette il dono di sé e rende quindi bello l’amore. La castità coniugale non è la repressione della spontaneità nell’amore, ma l’acquisizione di una nuova spontaneità, conforme alla verità del dono, che permette – come dice san Tommaso – di vedere e capire meglio ciò che conviene all’amore.

Discernere non è un sotterfugio per relativizzare le norme e permettere nella pratica ciò che è contrario alla logica dell’amore, ma è saper trovare con perspicacia e con l’aiuto dello Spirito le vie migliori che permettono all’amore umano di raggiungere la sua bellezza, e di risplendere come immagine di quell’amore divino, da cui ha origine.

Questo premio è promosso dall’Istituto per la famiglia in Europa.

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Livio Melina

Livio Melina

Livio Melina è Teologo Moralista. Già Ordinario di Teologia morale (dal 1996 al 2019) presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia a Roma, di cui fu Preside dal 2006 al 2016. Vi ha fondato e diretto l’Area Internazionale di Ricerca in Teologia morale. Membro ordinario della Pontificia Accademia di Teologia, è stato Direttore scientifico della rivista "Anthropotes" e visiting Professor a Washington DC e a Melbourne. Ha tenuto e tiene corsi e conferenze in varie Università internazionali.

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Il Veritas Amoris Project mette al centro la verità dell’amore come chiave di comprensione del mistero di Dio, dell’uomo e del mondo e come approccio pastorale integrale e fecondo.

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